Omelia Mercoledì delle Ceneri 2024

14.02.2024

“memento mori”

Prima di morire bisogna innanzitutto vivere!

Il coraggio di vivere

La liturgia di questo inizio quaresima si mostra crudele e spietata nel ricordare le nostre origini e prospettare il nostro destino che ben conosciamo: RICORDA CHE VIENI DALLA POLVERE E ALLA POLVERE RITORNERAI!

Non c’è dubbio che la nostra cultura occidentale abbia rimosso il pensiero della morte.

Parlare di morte sembra essere diventato argomento “stonato e osceno”. Parlare di sesso sembra esse diventato normale e legale, parlare di morte sembra essere argomento da “pornografia”.

Nella nostra società, dunque, la morte è un tema spesso rimosso e dimenticato, sostituito dall’idea illusoria di crescita infinita e quindi immortalità.

A guardar bene, la vita ci è data per imparare a vivere e a morire.

Che strano: non abbiamo chiesto e deciso noi di venire al mondo e ci costa e scoccia parecchio doverlo lasciare…

Dovremmo comprendere tutti che ogni giorno è un regalo che viene fatto e non ce ne accorgiamo perché ci è dato anche di stare bene (anche se può capitare che qualcuno, per natura, dice sempre di non stare totalmente bene). Diventare consapevoli della nostra mortalità è quindi un esercizio indispensabile per imparare davvero a vivere e a godersi il viaggio meraviglioso della vita.

In ogni caso rimane il fatto che la morte rimane una matrigna o una sorellastra che non si vorrebbe mai incontrare e averci a che fare!! Anche Gesù ha paura della morte nel Getsemani (Lc 22,44) ha provato angoscia come tutti noi.

Nel corso della nostra esistenza, il Signore ci riempie di doni. I Vangeli ci parlano di Talenti (o mine) che il Signore distribuisce in numero differente, l’importante è impiegare questi talenti per se e per gli altri.

Non c’è peggior tristezza che chiudersi in sé stessi, nell’orizzonte della propria esistenza e del proprio egoismo. Non c’è peggior tristezza che arrivare alla fine della vita e accorgersi di non aver vissuto (cf. S. Olianti,Il coraggio di vivere, Oltre le paure che ci abitano, EMP, p.68) per limiti personali o per quanto dipeso dal di fuori di noi, da chi finisce col decidere arbitrariamente circa il nostro futuro e il nostro destino così come Primo Levi narra nel suo testo Se questo è un uomo scritto di getto tra il 1945 e il 1947, scritto, come ha affermato l’autore stesso, nella prefazione del libro, per soddisfare “il bisogno di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi” l’esperienza della sua deportazione nel Lager di Auschwitz in quanto ebreo.  Primo Levi scrive questo libro subito dopo essere rientrato a Torino nell’ottobre del 1945 sopravvissuto alla prigionia, obbedendo all’esigenza di far conoscere a tutti l’esperienza atroce dell’internamento.

Considerare e contemplare la propria mortalità può portare a coltivare un profondo senso di gratitudine e di apprezzamento nei confronti della vita. Se queste sono le premesse, occorre allora ribadire che la liturgia odierna ci vuole ricordare anche che: prima di morire bisogna innanzitutto vivere!

Unitamente al richiamo del tempus fugit, il memento mori divenne, inoltre, il motto dei monaci trappisti, che in questo modo ricordavano la caducità del tempo presente e l’imminenza del giudizio particolare per la vita o la morte eterna.

ll concetto di memento mori ci ricorda costantemente la transitorietà di ogni cosa, inclusi gli affetti più cari. Questa consapevolezza può guidarci verso legami interpersonali più profondi e autentici. Ci spinge a valorizzare le nostre relazioni, a superare le piccole incomprensioni e a manifestare con maggior libertà amore e gratitudine. Quando riconosciamo l’impermanenza della vita, diventiamo più bravi a coltivare i nostri legami con gli altri.

La contemplazione della morte ci incoraggia anche a considerare l’eredità che potremmo lasciare in futuro, e quindi quello che sarà il nostro impatto sul mondo, come saremo ricordati. Grazie a questo siamo motivati a lasciare un segno che sia positivo nel mondo, e lo faremo dando un contributo alla società e alle generazioni successive.

Il coraggio di decidere

L’emblema dell’incapacità di scegliere è il governatore Pilato!

Sarà meglio decidere e agire correndo il rischio di sbagliare per poi correggersi, che attendere passivamente per paura di sbagliare o di non essere perfetti. Per migliorare te stesso e la tua vita dovrai essere disposto a fare ciò che altri non sono disposti a fare.

Il Papa nel Messaggio per questa Quaresima Attraverso il deserto Dio ci guida alla libertà

Chiediamoci: desidero un mondo nuovo? Sono disposto a uscire dai compromessi col vecchio.

Papa Francesco è convinto che oggi va denunciato è un deficit di speranza….

Dio non si è stancato di noi.

Accogliamo la Quaresima come il tempo forte in cui la sua Parola ci viene nuovamente rivolta: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (Es 20,2). È tempo di conversione, tempo di libertà….È tempo di agire, e in Quaresima agire è anche fermarsi. Fermarsi in preghiera, per accogliere la Parola di Dio, e fermarsi come il Samaritano, in presenza del fratello ferito. L’amore di Dio e del prossimo è un unico amore. Non avere altri dèi è fermarsi alla presenza di Dio, presso la carne del prossimo. Per questo preghiera, elemosina e digiuno non sono tre esercizi indipendenti, ma un unico movimento di apertura, di svuotamento: fuori gli idoli che ci appesantiscono, via gli attaccamenti che ci imprigionano. Allora il cuore atrofizzato e isolato si risveglierà. Rallentare e sostare, dunque…. La forma sinodale della Chiesa, che in questi anni stiamo riscoprendo e coltivando, suggerisce che la Quaresima sia anche tempo di decisioni comunitarie, di piccole e grandi scelte controcorrente, capaci di modificare la quotidianità delle persone e la vita di un quartiere.

don Pasquale

Omelie del Triduo Pasquale 2022

UN AMORE SUPERLATIVO AD ALTA FEDELTA

Omelia del Giovedì Santo – 14.04.2022

Sac. Pasquale Zecchini

Una strana amarezza serpeggiava nel cuore di tutti in quella Cena caratterizzata da antichi racconti.

Parole strane uscivano dalla bocca del loro Maestro: “Uno di voi mi tradirà…”; “Il Figlio dell’uomo sta per partire…”; “è l’ultima coppa che bevo con voi finché non verrà il Regno di Dio” (Mt 26,20-29).

È la notte del duello tra tradimento e amore.

Tanta violenza si abbatterà, di lì a breve, su Gesù mentre Lui continuerà a testimoniare fedeltà e amore.

Gesù non misurato il suo amore con la bilancia o con un centimetro. Un amore che passa attraverso la logica del calcolo non è vero amore! 

La totalità del dono (o del darsi), del non far sconti, e il non accontentarsi del minimo indispensabile è proprio del modo di concepire l’amore cristiano.

L’amore di Gesù è un amore in pienezza, nella totalità, al massimo grado, in modo superlativo!

Quello di Gesù è un vortice d’amore

Giovanni nel suo Vangelo ci racconta ciò che Gesù fece nel contesto dell’Ultima Cena: “Si alzò da tavola, depose le vesti, si cinse di un asciugatoio e versò dell’acqua nel catino”. Assieme all’acqua versò tutto il suo amore.

Ai piedi degli uomini il suo amore si fa servizio.

Il suo amore, dunque, non è un amore qualunque, ma un amore sconfinato, senza limiti, un amore che non si arrenda, come quello di Dio.

Nel cenacolo, dunque, si può apprendere l’arte di amare; si può dire che Gesù ha impartito una lezione di AMORE ESAGERATO, che non dice mai: BASTA!

Dinanzi a questo amore i nostri volti dovrebbero arrossire per il livello mediocre che in tatti tratti non gli assomigliamo con la nostra capacità di amare!

L’INUTILE SPRECO

Omelia del Venerdì Santo – 15.04.2022

Sac. Pasquale Zecchini

I Vangeli della Passione non si prefiggono semplicemente di commuoverci consegnandoci i dettagli delle ultime ore della vita terrena di Gesù, intrise di sofferenza e patimenti, bensì vogliono indurci ad attuare profondi e autentici cambiamenti riguardo ai nostri modi di essere e di agire.

Potremmo, infatti, ritrovarci in molti o alcuni dei personaggi che incontriamo nel brano della passione di Gesù, che ci assomigliano nel non-amare, specie quando:

  • Sono io che accusa, 
  • chi bastona, 
  • chi sputa umiliazioni, 
  • chi rinnega, 
  • chi imprigiona, 
  • chi se ne lava le mani, 
  • chi scappa, 
  • chi mette il suo interesse davanti a tutto e a tutti, 
  • chi svende, 
  • chi fa le cose perché deve farle, 
  • chi non si fa domande, 
  • chi non sa vedere il dolore dell’altro, 
  • chi non sopporta l’ingiustizia, 
  • chi si lascia condizionare dalle apparenze e dalla massa, 
  • chi si lascia rubare la speranza, 
  • chi si fa impiccare dagli errori anziché confidare nella misericordia del Padre… 

Quella unzione di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, utilizzato da Maria, la sorella di Marta e di Lazzaro a Betania alcuni giorni prima della passione di Gesù, diventa prototipo dell’amore divino che non fa risparmi e non ricorre alla “concorrenza” bensì si avvale “dell’originale”.

L’evangelista Giovanni ci dice: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”, cioè in pienezza, al massimo grado, fino all’estremo, che lo porterà a dire sulla croce: “Tutto è compiuto”.

Sempre nella logica del dono, Gesù, secondo la versione di Giovanni, dalla Croce emise, cioè fece dono, trasmise, partecipò lo Spirito che abitava in Lui.

Il Suo ultimo respiro è una vera e propria effusione di Spirito, una Pentecoste, una Epiclesi che diventa capace di rinnovare la faccia della terra!

L’azione liturgica del Venerdì Santo non è un rito funebre, una commiserazione di un morto.

Si sta sotto la Croce con l’atteggiamento degli assetati che desiderano avvicinarsi alla fonte per attingere vino nuovo impregnato di Spirito!

Di questo vino dovremmo avvertirne continuo bisogno!

Come il nostro corpo ha bisogno di continuo nutrimento, parimenti la nostra anima.

Diversamente la fede potrebbe vacillare così come Pietro ha sperimentato sulla sua pelle.

Rinnegare Gesù per lui era impensabile, d’altronde per Lui aveva lasciato tutto e lo aveva seguito. 

Lo amava per davvero ma di un amore impulsivo così come era caratterialmente. Per Lui avrebbe dato e fatto tutto! Ma poi non ce l’ha fatta nell’ora della prova!

Da quella esperienza Pietro saprà trarre insegnamento, imparerà a crescere nella fede e nell’adesione più forte al Suo Signore, per passare da un amore fatto di parole e belle promesse ad azioni tangibili d’amore.

MISSILI O CAMPANE A FESTA? PASSIAMO A CIÒ CHE NON PASSA

Omelia del Sabato Santo – 16.04.2022

Sac. Pasquale Zecchini

Il “tutto è compiuto”, scandito dalle labbra di Gesù il venerdì santo, aveva mandato tutti a casa con la convinzione che la vicenda umana di Gesù fosse ormai, e per sempre, conclusa.

Quella pietra aveva sigillato quel sepolcro ove immobile vi resta un cadavere.

Per le donne c’è ancora qualcosa da fare l’indomani, di buon mattino, vanno per onorare il corpo sepolto di Gesù.

La sorpresa sarà la tomba vuota! Il Cristo, spogliato delle sue vesti, è Risorto ed è tornato alla vita lasciando nel sepolcro bende e sudario.

Nudo con la verità che gli appartiene!

Un giorno aveva detto: “Io sono la via, la verità e la vita”.

VIA  –  VERITA’  –  VITA

esprimono alla perfezione i bisogni dell’uomo di oggi!

Il mondo vive in uno stato di confusione, un labirinto che non ci permette di riconoscere la VIA più consona da seguire.

Ogni uomo ha sete di autenticità, capace di mettere al bando falsità e mistificazioni, equivoci e sotterfugi, di dire basta con le maschere e i travestimenti, finzioni e mimetismi.

L’uomo ha profonda sete di vita autentica, capace di operare alla luce del sole!

Come vorrei che, alla luce della Pasqua, la Chiesa splenda di quella luce o quel sole che non conosce tramonto, che promana da Cristo: luce del mondo e sole di giustizia!

Una Chiesa fedele alla Sua missione, più aderente al Vangelo, più disponibile, se necessario, a cambiare per assomigliare sempre più al Risorto.

Carissimi, la Pasqua di quest’anno corre il rischio di non farci celebrare questa festa col suono delle campane a distesa ma col rumore del bombardamento dei missili, e il rumore di quelle armi che i nostri bambini di catechismo hanno depositato presso l’altare della reposizione, ove troneggia ora il Risorto.

Pasqua vuol dire passaggio! Il mio invito e l’augurio che rivolgo a ciascuno è quello di PASSARE A CIÒ che NON PASSA!

Si, PASSIAMO dal confidare in noi stessi al confidare in Cristo Risorto, nostra Speranza! Passiamo dalla Sua parte col cuore prima che col corpo.

A tutti voi giunga il mio saluto e il mio augurio di Santa Pasqua.

don Pasquale

Il cinico Erode torna a ferire

Una nuova “strage degli innocenti” –Omelia delle Ceneri 02.03.2022

Nel III Millennio dove termini come integrazione, globalizzazione, mondializzazione, villaggio globale, fanno pensare a scenari di interazione e collaborazione reciproca o persino di convivenza pacifica fra popoli dove programmi televisivi come Verissimo, o il Grande fratello sembrano voler presentare uno scenario di gioia e divertimento per tutti, una mano assassina ha deciso di sobillare la tranquillità umana con una avanzata spedizione di guerra nei confronti di un popolo già martoriato in un recente passato e costretto a ripercorrere scenari di devastazione ben noti, una rinnovata strage degli innocenti che si ripete ancora… e, per di più, in un contesto già messo a dura prova dalla pandemia  del COVID 19, dalla quale con fatica stiamo ancora tentando di uscire. In un breve lasso di tempo siamo passati dal tunnel psicologico pandemico al tunnel psicologico bellico!

Il mondo intero è ancora in preda alla paura, al pericolo, a tante incertezze, all’imprevedibilità per quanto ha sperimentato in questi due ultimi anni.

Un’umanità ancora bisognosa, dunque, di riappropriarsi del suo percorso di vita ordinario, di recuperare la capacità di relazionarsi, di stare insieme, di fare “koinonia”, di costruire un’Oikos, una casa, dove i fratelli si radunano per “fare famiglia”.

La guerra è una follia, è irragionevole, è demoniaca, in qualche modo ha a che fare col diavolo che vuole distruggere la vita e distruggere il mondo.

“Chi fa la guerra dimentica l’umanità. Non parte dalla gente, non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere. Si affida alla logica diabolica e perversa delle armi, che è la più lontana dalla volontà di Dio. E si distanzia dalla gente comune, che vuole la pace; e che in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra (Papa Francesco, Angelus del 27/02/2022).

Su ogni scenario di guerra si staglia ancora oggi la profonda disapprovazione divina con le sue invettive: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?» (Mt 17,17).

In questo Mercoledì delle Ceneri il Papa invita tutti a fare di questo giorno una giornata di preghiera e digiuno per la pace in Ucraina. 

Una giornata per stare vicino alle sofferenze del popolo ucraino, per sentirci tutti fratelli e implorare da Dio la fine della guerra che ha già prodotto, in pochi giorni, i suoi danni; basti pensare a 16 bambini già uccisi nella guerra con la Russia, da Polina, morta in auto, ad Alisa, uccisa dalle bombe. Altri 45, ha riportato il premier Zelensky, sono stati feriti. Il grido di dolore dei medici: «Mostrate questo a Putin».

Polina aveva solo 10 anni e l’anno prossimo avrebbe cominciato la prima media. Ma Polina in prima media non andrà mai: è stata uccisa insieme a sua madre e suo padre mentre tentavano di uscire da Kiev in macchina, secondo quanto denuncia sui social il vicesindaco Volodimyr Bondarenko. Suo fratello e sua sorella sono invece in ospedale in terapia intensiva e nessuno sa se riusciranno a sopravvivere.

Il nostro Presidente del Consiglio ha affermato: Di fronte alla “aggressione premeditata e immotivata” da parte della Russia nei confronti dell’Ucraina, “tocca a noi tutti decidere come reagire. L’Italia non intende voltarsi dall’altra parte”. Ha parlato di aiuti, sostegni economici da far giungere (come anche il Papa ha già fatto) e di accoglienza dei profughi che intendono ricongiungersi a parenti e amici già da tempo presenti in Italia.

Alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni, a poca distanza da noi, giacché l’Italia dista appena 2000 Km dall’Ucraina, non possiamo rimanere indifferenti, in quanto tutti facciamo parte della stessa umanità e tutti siamo membri dello stesso Pianeta.

Nell’editoriale del quotidiano cattolico AVVENIRE di oggi (02.03.22) si legge: “La creazione del mondo è incompleta, tocca a noi completarla. Il mondo è bello perché si può colorare, colorarlo significa completarlo”. Ecco qual è il nostro compito, la nostra missione: completare/colorare il mondo. Senza distruggerlo o pretendere di impossessarci di esso perché, giova ricordare sempre a noi e a tutti, che il mondo è di Dio, e ciascuno di noi può cogliersi come operaio e artigiano che se ne prende cura a vantaggio di tutti.

La Quaresima non è solo un tempo opportuno per passare in rassegna quelli che potremmo definire i “mali e orrori sociali”, ma anche e soprattutto quelli personali che si annidano nelle profondità del nostro essere e che spesso sorvoliamo o che impariamo a convivere.

Nell’Angelus di domenica scorsa (27.02.22) il Pontefice, commentando il Vangelo della correzione fraterna (Lc 6,41-45), aggiungeva: ”Il Signore ci invita a ripulire il nostro sguardo. Per prima cosa ci chiede di guardare dentro di noi per riconoscere le nostre miserie. Perché se non siamo capaci di vedere i nostri difetti, saremo sempre portati a ingigantire quelli altrui. Se invece riconosciamo i nostri sbagli e le nostre miserie, si apre per noi la porta della misericordia. E dopo esserci guardati dentro, Gesù ci invita a guardare gli altri come fa Lui – questo è il segreto: guardare gli altri come fa Lui –, che non vede anzitutto il male, ma il bene. Dio ci guarda così: non vede in noi degli sbagli irrimediabili, ma vede dei figli che sbagliano. Cambia l’ottica: non si concentra sugli sbagli, ma sui figli che sbagliano. Dio distingue sempre la persona dai suoi errori. Salva sempre la persona. Crede sempre nella persona ed è sempre pronto a perdonare gli errori. Sappiamo che Dio perdona sempre. E ci invita a fare lo stesso: a non ricercare negli altri il male, ma il bene. Dopo lo sguardo, prosegue il Papa, Gesù oggi ci invita a riflettere sul nostro parlare. Il Signore spiega che la bocca «esprime ciò che dal cuore sovrabbonda» (v. 45). È vero, da come uno parla ti accorgi subito di quello che ha nel cuore. Le parole che usiamo dicono la persona che siamo. A volte, però, prestiamo poca attenzione alle nostre parole e le usiamo in modo superficiale. Ma le parole hanno un peso: ci permettono di esprimere pensieri e sentimenti, di dare voce alle paure che abbiamo e ai progetti che intendiamo realizzare, di benedire Dio e gli altri. Purtroppo, però, con la lingua possiamo anche alimentare pregiudizi, alzare barriere, aggredire e perfino distruggere; con la lingua possiamo distruggere i fratelli: il pettegolezzo ferisce e la calunnia può essere più tagliente di un coltello!”.

Carissimi, cogliamo questo tempo liturgico come un vero e proprio Kairos, cioè un tempo di grazia da vivere non tanto come “cose da fare” ma come un cuore da cambiare, per riscoprire la forza dell’amore che ci sprona a fare del bene giacché, come amava dire Gandhi: «Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fin tanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo».

don Pasquale Zecchini

Caino ha colpito ancora…

Homo homini lupus???

Omelia nella festa di S. Girolamo 30/09/2021

Non si può, carissimi, cantare spensieratamente il Gloria in excelsis Deo · Et in terra pax hominibus bonae voluntatis quando una mano assassina ha infranto il 5° Comandamento ove Dio proibisce ad un essere umano di annientare la vita di un proprio simile, chiunque esso sia e/o qualsiasi cosa abbia fatto!!!

Il mondo, creato dall’Onnipotente Dio, non è una foresta dove l’uomo può andare a caccia della sua preda.

L’egoismo, la sopraffazione dell’altro, è una tentazione sempre in agguato nella mente e nel cuore di ogni uomo, soprattutto quando ci si allontana da Dio e ci si concentra su se stessi sviluppando una sete di dominio sulle cose e sulle persone.

Lontano da Dio, l’uomo sprigiona istinti e desideri di potere e ogni sorta di appagamento di bisogni, talvolta leciti, ma spesso anche illeciti, e addirittura disastrosi!!!

Il concetto dell’homo homini lupus è stato ripreso da diversi filosofi e pensatori: Erasmo da Rotterdam, Francesco Bacone e tanti altri nel corso della storia.

Nel XVII secolo il filosofo britannico Thomas Hobbes lo utilizzò per connotare la natura umana nella sua opera De Cive (Il cittadino). 

Secondo Hobbes, la natura dell’uomo è essenzialmente egoistica e a determinare le azioni umane sono solamente l’istinto di sopravvivenza e quello di sopraffazione; egli ritiene impossibile che l’uomo si senta spinto ad avvicinare un proprio simile in virtù di un amore naturale; i legami di amicizia o di società degli uomini sono dovuti solamente al timore reciproco.

Nello stato di natura, ovvero in quello stato non regolato da alcuna legge, ogni persona, mossa dal suo più recondito istinto, cerca di danneggiare gli altri e di eliminare tutti coloro che rappresentano un ostacolo al raggiungimento dei propri scopi; in altri termini, ogni individuo vede nel proprio prossimo un nemico.

Anche ai tempi di Girolamo l’altruismo, il rispetto e l’amore per l’altro, non erano concetti e fattori acquisiti e vissuti, perfino all’interno della curia romana, che Girolamo aveva frequentato e conosciuto in virtù della collaborazione offerta a Papa Damaso, che lo aveva scelto come proprio segretario e consigliere e, allo stesso tempo lo invita a intraprendere una nuova traduzione in latino dei testi biblici.

Alla morte di Papa Damaso, il suo rigorismo, la sua attenzione alle regole e la sua austerità lo portano a condannare vizi e ipocrisie e, per questo, preferisce abdicare agli ambienti di Santa romana Chiesa e sceglie di ritirarsi a Betlemme, stabilendosi presso la grotta della Natività, e così dedicarsi sempre più intensamente allo studio della Parola di Dio.

Piacere a Dio, e non agli uomini, diventa la meta quotidiana e il “programma di vita” di Girolamo, nello sforzo costante di mettere in pratica gli insegnamenti contenuti nella Sacra Scrittura, la cui lettura, meditazione e traduzione nella Vetus latina, caratterizzava e riempiva gran parte del tempo delle sue giornate. 

Possa il nostro Santo Patrono ispirare anche a noi tali sentimenti e superare uno stile di vita mediocre e spesso caratterizzata da compromessi e opacità diffuse.

don Pasquale

Giovedì Santo 2021

Anche la messa di Giovedì Santo 2021 è stata limitata dalle disposizioni anti-covid, impedendoci di svolgere il rito seppur facoltativo della lavanda dei piedi. Ha visto però una grandissima e accorata partecipazione di fedeli, sempre nel rispetto delle norme di sicurezza.

PANE DIVISO E CONDIVISO NELL’AGAPE E NELLA DIAKONIA
Ancora oggi si fa riconoscere nello “spezzare il pane”
(klásis tou ártou)

L’ evangelista Giovanni non parla della istituzione dell’Eucaristia, cioè di ciò che Gesù ha fatto col pane e con il vino in quella Sua Ultima Cena terrena.

 Si è dimenticato? Perché non ne parla? Non può essersi dimenticato! 

Niente di tutto ciò! Nell’ottica di Giovanni l’Ultima Cena va guardata più in profondità. 

Egli cioè propone una sorta di “radiografia dell’Ultima Cena”, non si ferma al visibile, ma và più in profondità. Giovanni mostra che Gesù lava i piedi gesto che per lui è quasi “cuore della Cena” che, così, diventa più di un pasto conviviale.

Il più grande si fa più piccolo; per amore, si fa servitore.

Il Figlio di Dio si fa schiavo per noi. Prende il catino e lava i piedi: lascia la tavola, depone le vesti e si cinge un grembiule, prende un asciugatoio per asciugare i piedi dei suoi discepoli.

Solo Giovanni riporta questa scena che, se non ripetiamo in ogni celebrazione, è anche vero che non deve sfuggire dalla nostra memoria.

Infatti, può accadere di vedere la mensa, il pane e il vino, i fiori, ma non il Signore che si abbassa davanti a ciascuno di noi. Che cosa ci scuoterà dal sonno e ci renderà capaci di profondità? Giovanni ci invita a contemplare a lungo questa icona dell’amore, finché questa icona dalla vista giunga fino al cuore. 

Alla mensa siamo attorno a Cristo e Lui viene a lavarci i piedi. Come Pietro, vorremmo dirgli di no, perché comprendiamo che dobbiamo a nostra volta, lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio da ripetere, un esempio da comprendere, un atteggiamento da assumere: essere umili per lasciarci amare. Non si tratta di uno spettacolo o di un teatrino, ma di un appello esigente che ci invia in missione, per fare anche noi lo stesso. Vi ho dato un esempio, perché facciate lo stesso (Gv 13,15). 

È l’impegno del servizio, il dono, la grazia del servizio, per essere trasformati in servitori di Dio, della Chiesa, dell’umanità intera. L’Eucaristia ci svela che bisogna alzarsi da quella tavola, dove si sta bene, a volte circondati dal calore del gruppo e deporre le vesti che significa tirarsi su le maniche, e perdere la vita. Prendere l’asciugatoio e cingerlo. Essere chiesa del grembiule (come diceva il vescovo Tonino Bello), chiesa del servizio

Ecco cosa ha individuato Giovanni nella “radiografia della Cena di Gesù”.

Ma questa è una delle due facce dell’Eucaristiala diakonia!

L’altra la raccontano gli altri evangelisti sinottici (Matteo 26, 20-30; Marco 14, 22-25; Luca 22, 14-39; Giovanni 26;13-17; Paolo 1Cor 11,23-26 Mt. 13, 16-17.

L’Eucaristia ha bisogno del prete e della comunione di amore che è la Chiesa. Ciascuno vi contribuisce per la sua parte. 

Prese il pane, e continua: lo spezzò, ecco un altro dettaglio sottolineato dai tre evangelisti – è sicuramente per mangiarlo: bisogna spezzarlo. In effetti la tradizione cristiana ha colto ben altro, non si tratta solo di un gesto utilitario, non si tratta di un semplice gesto pratico, ma perché è il segno della Passione, Cristo stesso si è lasciato spezzare, rompere dalla sofferenza. 

Il “pane della condivisione” evoca – tra le altre – la valenza etico-sociale dell’eucarestia. 

La Chiesa vede nell’Eucaristia il sacramento che, oltre a costituirla, dà forma alla sua esistenza

Non è forse l’Eucaristia il segno dell’unità e il vincolo della carità che insieme lega il corpo ecclesiale? 

La comunione eucaristica diventa così la forma della comunione ecclesiale. Sottolineare ciò significa richiamare il compito che impegna tutto il popolo di Dio ad essere “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1). Impegna i sacerdoti a essere ministri di quella carità pastorale che non solo scaturisce dall’Eucaristia ma trova nella celebrazione di questa la sua più alta realizzazione. Sollecita le persone consacrate a ritrovare nell’Eucaristia la sorgente di sempre rinnovato dono a Dio e alla sua Chiesa. Per tutti fedeli laici impegnati nelle varie attività apostoliche l’Eucaristia è l’alimento che sostenta l’impegno missionario e ne assicura l’efficacia profonda. 

E’ l’Eucaristia che fa la Chiesa e la nutre, come un tempo la manna nutrì il popolo dell’Antica Alleanza e gli permise di sopravvivere durante i quarant’anni di cammino nel deserto. Durante i quarant’anni ma non oltre. Solo l’Eucaristia consente di vincere la morte.

L’Eucarestia spinge ogni credente in Lui a farsi áá pane spezzatoññ  per gli altri, e dunque ad impegnarsi per un mondo più giusto e fraterno. (…) Davvero la vocazione di ciascuno di noi è quella di essere, insieme a Gesù, áápane spezzatoññ   per la vita del mondo”(Benedetto XVI).

Gesù si dona nell’Eucarestia tanto disarmato da farsi “mangiare e bere” tutte le volte che lo desideriamo. Dopo averlo ricevuto nell’Eucarestia, possiamo ancora dubitare di essere amati da Lui? Che altro potrebbe fare per provarci il Suo amore?

E voi, fategli buona compagnia, non perdete una così bella occasione per manifestargli le vostre necessità dopo la Santa Comunione. E se la vita vi chiama ad altre occupazioni cercate di rimanergli uniti con l’anima. Se appena ricevuta la S. Comunione uno non vede l’ora di uscire di chiesa e così si ingolfa nelle occupazioni e negli affari del mondo, come volete che il Signore gli si manifesti?” (S. Teresa d’Avila). 

Il messaggio di PAOLO VI “Omnia Nobis Est Christus” (Cristo è tutto per noi!), scritto per la Quaresima 1955, Sì, Gesù Cristo, Nostro Signore, è a noi necessario. Il tema è sempre nuovo; non lo si dica già conosciuto; esso è inesauribile”. “Cristo è il nostro tutto”. Scrive Papa Paolo VI: “Non sempre nei fedeli è presente l’idea che noi siamo di Cristo. E’ per Lui che noi formiamo una sola famiglia, un sol corpo: la Chiesa.

Preghiamo insieme con le Parole di Paolo VI (26 marzo 1972) 

Siamo qui, Signore, per riconoscere e proclamare che Tu sei il Cristo, il Salvatore, Colui che solo dà senso, valore, speranza, gioia alla vita degli uomini, alla nostra vita. Sei Tu, Gesù, che liberi gli uomini dalle catene del peccato e da quelle altre catene interne ed esterne di ogni schiavitù. Sei Tu, Gesù, che ci dai le ragioni per cui vale la pena di vivere, di amare, di lavorare, di soffrire e di sperare. Sei Tu, Gesù, che ci insegni le supreme verità, che ci obblighi a considerarci fratelli. Sei Tu, Gesù, che ci soffi nei cuori il Tuo Spirito di sapienza, di fortezza, di gioia e di pace. Sei Tu, Gesù, che ci fai Chiesa. Noi abbiamo bisogno di Te. Tu sei la nostra segreta Aspirazione a fare della vita una cosa seria, un momento di pienezza, un’ora di sapienza, un dono d’amore, un inno a Dio. Amen

don Pasquale

Settimana Santa 2021

Carissimi genitori dei ragazzi di Catechismo e fedeli tutti,

siamo coscienti del fatto che il periodo che stiamo vivendo è abbastanza critico e perfino drammatico!

Ci auguriamo che il vaccino possa porvi rimedio a questo “leone”, ossia Covid 19, che vorrebbe “divorarci” o “ferirci”.

Tuttavia la vita deve continuare ad avere il suo percorso, se pur con le dovute cautele e modalità, che da un anno ci stanno suggerendo e che non sempre osserviamo scrupolosamente.

Come sapete da Domenica iniziano per la cristianità i GIORNI SANTI della commemorazione della PASSIONE – MORTE e RISURREZIONE di GESU’CRISTO.

 La fede potrebbe essere una LUCE in questo momento di buio e smarrimento! Perché privarci di questa forza assai necessaria per voi e per i vostri figli?

I decreti e provvedimenti governativi hanno permesso alle Chiese di celebrare in presenza i vari riti della Settimana Santa forse perché si è capito che proprio dalla fede possiamo attingere, in quest’ora, la “medicina” e la forza morale per combattere l’oscurità e il pericolo in agguato.

Isolarci, poi, non fa per niente bene!

Già vivremo tutti una “Pasqua da reclusi” ognuno segregato nelle proprie case e possibilmente con pochi componenti familiari….

perché non approfittare “dell’ora d’aria” per prendervi parte alle celebrazioni liturgiche previste nella nostra comunità parrocchiale a partire dalla domenica delle Palme – Giovedì – Venerdì Santo e Veglia Pasquale???

D’altronde la maggior parte delle celebrazioni le vivremo negli spazi aperti della nostra parrocchia come indicato per ogni celebrazione dal programma predisposto con gli orari e i vari giorni.

Il mio invito più appassionato è quello di far prevalere la ragione, il buon senso e la voglia di rivederci (con distanziamento) e PREGARE INSIEME IL DIO DELLA GIOIA, DELLA LUCE e DELLA VITA!!!

Vi aspetto numerosi

Don Pasquale

27 marzo 2021