Omelia Veglia di Pasqua 2024

Una Chiesa che corre per annunciare la gioia del Vangelo

La Chiesa giovane che Papa Giovanni Paolo II sognava per il nostro secolo è una Chiesa non statica ma dinamica, che corre e non ha paura perché porta al mondo l’annuncio, di un Dio che ci accompagna e ci segue sempre…

Questa è la Chiesa della Veglia nella Pasqua di Risurrezione del Signore, madre di tutte le Sante veglie, come la definì sant’Agostino, che si apre alla gioia di un nuovo inizio, perché il nostro Dio, facendo Risorgere Suo Figlio offre a ciascuno di noi nuove opportunità vi vita e di percorso.

Di buon mattino alla tomba di Cristo va Maria di Magdala, inconsolabile perché il Maestro che lei seguiva con amore è stato barbaramente ucciso. L’autore del Quarto Vangelo ci dice che quando lei si reca al sepolcro era ancora buio e, come fa di solito, non vuole darci una indicazione solo temporale, ma esistenziale dell’episodio che ci sta narrando: vuole dirci che nel cuore di Maria e in quello degli apostoli c’era ancora l’oscurità dell’incomprensione per quello che era accaduto a Gesù.

Maria trova la pietra che copriva il sepolcro ribaltata e corre subito ad avvisare gli apostoli Pietro e Giovanni, portando la sua interpretazione dell’accaduto: hanno portato via il corpo di Gesù e non sa dove lo hanno deposto. I due correvano: è bella l’immagine di questi due uomini che si recano in fretta e ci dicono il desiderio di conoscere la verità.

La Pasqua richiede che mettiamo ali ai nostri piedi per Correre come i due apostoli

Anche nel buio più fitto brilla la stella del mattino

Nella Veglia di Pasqua del 2022 Papa Francesco nella sua Omelia diceva:

“Facciamo Pasqua con Cristo! Egli è vivo e ancora oggi passa, trasforma e libera. Con Lui il male non ha più potere, il fallimento non può impedirci di ricominciare, la morte diventa passaggio per l’inizio di una vita nuova. Perché con Gesù, il Risorto, nessuna notte è infinita; e anche nel buio più fitto, in quel buio brilla la stella del mattino” (16 aprile 2022).

“Com’è bella una Chiesa che corre per le strade del mondo col desiderio di portare a tutti la gioia del Vangelo. A questo siamo chiamati: a rotolare quella pietra dal sepolcro, in cui spesso abbiamo sigillato il Signore, per diffondere la sua gioia nel mondo” (22 aprile 2022).

Si questo è quanto auguro in questa notte gioiosa a tutti voi: essere portatori di gioia e di speranza nel mondo e ora continuiamo questa celebrazione adempiendo a quanto ho cantato nel bellissimo testo dell’Exultet:

“E questo tempio tutto risuoni per le acclamazioni del popolo in festa!”.

don Pasquale

Omelia Venerdì Santo 2024

La saggezza delle lacrime

Una Chiesa che condivide le lacrime della gente

Nel Vangelo di Luca Gesù dice alle figlie di Gerusalemme che piangono alla sua vista: “Non piangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figli” (Lc 23, 28).

Vorrei dedicare la meditazione di questa sera sull’importanza delle lacrime, ossia del piangere.

«Solamente quando Cristo ha pianto ed è stato capace di piangere ha capito i nostri drammi». Da qui si comprende perché «certe realtà si vedono soltanto con gli occhi puliti dalle lacrime» (Papa Francesco)

Piangere riveste una dimensione tipicamente umana e inesorabile, quella della sofferenza, che non risparmia nessuno. Nasciamo piangendo.

Il significato delle lacrime nel mondo antico

Nel mondo antico piangere non significava dimostrarsi deboli, il pianto era considerato anzi manifestazione profonda dei propri sentimenti di dolore, frustrazione, nostalgia. Le lacrime sgorgano dal cuore:

Le lacrime ricorrono costantemente nella Bibbia, nell’Antico e nel Nuovo Testamento, investendo una gamma di sentimenti talmente ampia da risultare inimitabile nelle altre fonti. Il pianto investe uomini e donne di ogni condizione. Sono lacrime di pentimento, di supplica, di consolazione, di angoscia ma anche di condanna, quando Gesù allude al destino riservato ai dannati che andranno là dove vi sarà “pianto e stridore di denti” (Mt 13,42). Le lacrime sono al centro del libro delle Lamentazioni. Nei Salmi, in particolare, le lacrime sono effetto del pentimento o della consolazione. Dio raccoglie le lacrime di ciascuno in un otre e non ne perde neppure una (56,9) e qui riecheggiano le parole dell’Apocalisse: “…ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate” (21, 3-4).

Anche Gesù ha pianto

Maria Maddalena piange quando lava i piedi di Gesù con le sue lacrime e piange Pietro quando al cantar del gallo realizza il suo tradimento. Le lacrime più preziose sono certamente quelle della Vergine: quelle di una madre per il Figlio e per ciascuno dei suoi figli.

Anche Gesù piange, accogliendo in sé ogni aspetto dell’essenza umana, partecipandone fino in fondo.

Molti santi hanno avuto il dono delle lacrime, rivivendo le emozioni che furono di Gesù stesso, il quale non trattenne o nascose le lacrime sulla tomba dell’amico Lazzaro, alla vista del dolore di Marta e Maria, o alla vista di Gerusalemme nei suoi ultimi giorni terreni.

Nei Vangeli non si parla mai del riso di Gesù, ma del suo pianto sì. Papa Francesco ha ricordato i passi dei Vangeli in cui il Signore piange: nel Vangelo di Giovanni (11,32-44) sull’amico Lazzaro; in Luca (19,41) mentre si avvicina a Gerusalemme e ne profetizza la distruzione; in Matteo (26, 36-46) e Marco (14, 32-42), durante la preghiera e l’agonia nel Getsemani, Gesù manifesta la sua angoscia e la tristezza senza pianto, mentre nella Lettera agli Ebrei 5,7 si parla di “forti grida e lacrime”.

Le lacrime, dimensione tipicamente umana.

Ciascuno di questi tre momenti sono resi in modo diverso nel testo greco. Nell’episodio di Lazzaro Gesù versa lacrime in un pianto silenzioso.

Le lacrime, come scrive il monaco copto Matta El Meskin, sono il segno del pentimento, il pegno della conversione. Lavano il cuore, purificano le membra, guariscono l’anima malata.

Il penthos, la contrizione, le lacrime sono il segno che il cuore di pietra si sbriciola, si frantuma e lascia pulsare un cuore di carne, capace di accogliere la tenerezza misericordiosa di Dio. Per questo le lacrime erano ritenute dai padri della Chiesa come un “secondo battesimo”, una purificazione del cuore, un’attestazione di amore verso il Signore, una domanda di riconciliazione e perdono. Non saper piangere il peccato commesso era ritenuto un impedimento alla grazia e per questo, ancora nei libri di preghiere affidati alla mia generazione, vi era una preghiera “per ottenere il dono delle lacrime”. Le lacrime, infatti, sciolgono il cuore di pietra e vincono l’aridità che ci rende rigidi, sterili e incapaci di compassione: versare lacrime umanizza, mentre non saper piangere è disumano. Nella vita spirituale cristiana occorre dunque accogliere l’esperienza delle lacrime, del pianto quale pentimento per il proprio operare. Isacco il Siro scrive in proposito: “Le lacrime versate durante la preghiera sono un segno della misericordia di Dio della quale l’anima è stata ritenuta degna nel suo pentimento: il pentimento è accolto e la preghiera attraverso le lacrime purifica, lava da ogni peccato commesso”.

Il dono delle lacrime non è solo quando gli occhi piangono, ma anche quando a piangere è il cuore. Il nostro cuore si commuova davanti alla presenza del Signore. Chi si comunica tra le lacrime fa esperienza della guarigione interiore.

La psicoanalista Julia Kristeva, non credente, diceva che quando un paziente depresso arrivava a piangere sul divano, accadeva una cosa molto importante: stava cominciando a prendere le distanze dalla tentazione del suicidio perché le lacrime non narrano il desiderio di morire ma “la nostra sete di vita.

Piangere quindi fa bene ma prima è necessario imparare a piangere davvero e smettere di frignare!

Il nostro tempo sembra attraversato da due estremi. Un’aridità totale che chiude le persone in se stesse, le rende addirittura ciniche, indifferenti a chi soffre e ha bisogno di aiuto. Niente ci commuove, dobbiamo prima pensare a noi stessi, alle nostre esigenze, ai nostri problemi. Da questa mancanza di lacrime si passa talvolta agli occhi lucidi guardando un film o una telenovela, seguendo in tv e sui giornali il racconto di una tragedia a lieto fine come quella dei ragazzi thailandesi salvati dopo 18 giorni in una grotta.

Non che ci sia nulla di male in questo genere di lacrime, che rischiano però di essere fittizie. Ma ci sono anche quelle finte, le cosiddette lacrime di coccodrillo, versate per ottenere qualcosa. E ci sono le lacrime vere, che i padri della Chiesa definivano «un dono».

Le lacrime che partono dal cuore significano uscire dall’anestesia, sono il risveglio della sensibilità, della capacità di patire e di compatire».

PREGHIERA PER OTTENERE IL DONO DELLE LACRIME

O Dio onnipotente e mitissimo, che hai fatto scaturire dalla roccia una fonte d’acqua viva per il popolo assetato, fa uscire dalla durezza del nostro cuore lacrime di pentimento: affinché possiamo piangere i nostri peccati e meritare, per Tua misericordia, la loro remissione.

don Pasquale

Omelia Giovedì Santo 2024

Un popolo in cammino

Come i discepoli di Emmaus

Giorno dell’istituzione dell’Eucarestia

     “       dell’agonia

     “       del tradimento di Giuda

     “       del tradimento/rinnegamento di Pietro

     “       della Lavanda dei Piedi, dell’umile chinarsi del Cristo sui piedi dei discepoli come lezione valida per tutti i tempi e per tutti i luoghi.

Quest’anno, a livello di calendario, celebriamo la c.d. “Pasqua bassa”, infatti tra qualche giorno daremo il “benvenuto” al mese di aprile.

Un antico detto recita: Aprile dolce dormire… 

In realtà questo detto si coniuga a un altro molto famoso, che sin da bambini abbiamo sentito dai nostri genitori: “Chi dorme non piglia pesci”.

Innanzitutto, questo antico detto italiano sta a significare che non si ottiene nulla senza fatica e che, senza darsi da fare, non si realizza nulla di buono. Il detto, non a caso, prende esempio dall’attività del pescatore la cui particolarità è quella di non lasciarsi sfuggire il pesce nel momento in cui abbocca. In questo modo, chi si trova davanti alla canna da pesca deve rimanere sempre concentrato per non rischiare di perdere l’attimo in cui il pesce afferra l’esca. Chi dorme non piglia pesci, quindi, si riferisce a chi riposa troppo anziché impegnarsi nel proprio lavoro e rimanere all’erta e invita a dedicarsi con dedizione ai propri obiettivi per perseguire i propri scopi.

D’altra parte non si nega il dato incontrovertibile che senza un riposo adeguato, il conseguimento dei propri obiettivi sarebbe praticamente impossibile.

Si potrebbe dire che dormire sia una cosa “ovvia”, naturale per ogni uomo, eppure, come tutte le cose più ovvie ma originarie e fondanti la nostra umanità, presuppone molto di più di quel che sembra.

Esiste un sonno buono, profondamente umano. «Non mi piace chi non dorme, dice Dio», canta Charles Péguy, che definisce il sonno «l’amico di Dio» e fa dire al Creatore: «Il sonno è forse la mia più bella creatura». Esiste una sapienza che deriva soltanto dall’abbandonarsi come bambini nelle braccia paterne di Dio. Ma io non sono più un bambino! — protesta il vecchio che ognuno di noi porta dentro di sé. Sicuramente Dio non ci vuole incoscienti o immaturi, ma neppure possiamo sentirci addosso la responsabilità della salvezza della Chiesa e del mondo. L’opera di Dio si realizza con ritmi e tempi che non sono sotto il controllo di ognuno di noi: «Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa» (Mc 4, 27).

Il sonno, infatti, è fondamentale per ricaricarsi e per recuperare al meglio le forze per affrontare una nuova giornata. Rigenerare le cellule del proprio corpo, in particolare quelle del sistema nervoso, è un’attività che il sonno porta con sé e che rimane fondamentale per il nostro organismo. Chi dorme quindi non piglia pesci? Forse è solo questione di quante ore si dedica al riposo!

La Chiesa non può dormire, è chiamata a riflettere, discernere e prendere poi posizione, non può tacere la verità, perché verrebbe meno alla fedeltà verso Dio Creatore e non aiuterebbe a discernere ciò che è bene da ciò che è male (Giov. P.II Angelus 9.7.2000).

“Sono venuto a portare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49)… “Questo è il fuoco dello Spirito Santo. Se la Chiesa non riceve questo fuoco o non lo lascia entrare in sé, diviene una Chiesa fredda o soltanto tiepida, incapace di dare vita, perché è fatta da cristiani freddi e tiepidi. Ci farà bene, oggi, prendere cinque minuti e domandarci: “Ma come va il mio cuore? È freddo? È tiepido? È capace di ricevere questo fuoco?” Prendiamoci cinque minuti per questo. Ci farà bene a tutti. E chiediamo alla Vergine Maria di pregare con noi e per noi il Padre celeste, affinché effonda su tutti i credenti lo Spirito Santo, fuoco divino che riscalda i cuori e ci aiuta ad essere solidali con le gioie e le sofferenze dei nostri fratelli” (PAPA FRANCESCO, ANGELUS Domenica, 14 agosto 2016).

Su una rivista mi è capitato di leggere la risposta a una critica di inerzia alla Chiesa da parte di un giovane sacerdote:

La Chiesa e la corrente
Caro Beppe, pur in una serie di osservazioni che in parte condivido, penso che tu abbia sbagliato biasimando gli ecclesiastici per la mancanza di attenzione e proposta di vita per le ragazze e i ragazzi che abitano le nostre città e le nostre case.

 E’ sbagliato perché la Chiesa è forse l’unica istituzione che rema controcorrente su molti piani: prima di tutto cercando di stare con i ragazzi. Io sono sacerdote non perché fulminato sulla via di Damasco da qualche intuizione dottrinale, ma perché ho trovato gente (laici, preti, suore) che mi ha fatto compagnia, e il loro modo di farlo era da cristiani.

Quindi ho trovato il Cristianesimo interessante (e intelligente). Quante altre “agenzie” davvero stanno con i nostri ragazzi? E poi come ci stanno? Quanti di voi, anche genitori, hanno davvero provato a mettere in questione, per esempio, la visione di una sessualità consumista, o che cosa vuol dire avere degli amici? Quanti hanno avuto il coraggio di parlare del senso e della profonda, temibile bellezza di volere il bene dell’altro come e più del proprio (forse perché alla fine il mio e il tuo bene coincidono, ma alla fine…)?

La chiesa convocata da Gesù è una Chiesa che inizia ad essere tale camminando con Gesù per le strade polverose della Galilea, della Samaria, della Giudea… del mondo intero.

La Chiesa non è formata da battitori liberi o da élite ma dall’insieme di coloro che hanno creduto e continuano a credere nel Signore morto e risorto, vivono nella sua parola e dei segni sacramentali della salvezza.

Camminare insieme richiede di saper incontrare, ascoltare, saper condividere.

La Chiesa, nei piani di Dio, è popolo in cammino, un popolo che cerca nel Signore la propria guida e che ritrova nel Pane eucaristico la forza per il proprio cammino verso il Regno di Dio.

1. In realtà, tu, o Signore,

sei sempre con noi.

Con divina discrezione,

spesso non riconosciuto,

tu in persona ti accosti a ciascuno di noi

e cammini con noi.

Tu continui, instancabile, a camminare con noi,

ogni giorno e nelle più diverse circostanze,

anche quando siamo smarriti e confusi,

quando la fede vacilla

e la speranza viene meno,

quando la vita conosce la prova e la sofferenza

o viene attraversata dal dramma e dalla disperazione,

quando nelle famiglie

viene turbato e minacciato l’amore

si insinua il tarlo della divisione

e irrompe il fallimento.

Tu cammini anche per le nostre strade

Dove la fede rischia di essere oscurata

dall’indifferenza e dall’affanno,

dalla chiusura e dall’egoismo,

dal rifiuto dei valori

che nel tuo Vangelo trovano la loro linfa vitale.

Anche qui tu sei presente e vivo

come il Viandante misterioso,

che non si impone ma si propone

e che, con paziente amicizia,

si fa partecipe di tutte le vicende del mondo,

per ridare a tutti

luce e conforto, speranza, gioia e pace.

2. Sì, o Signore,

tu cammini con noi.

E nel cuore di ciascuno,

come in quello dei viandanti di Emmaus,

fai risuonare la tua parola

che tutto definisce, tutto spiega, tutto redime:

una parola che aiuta a scoprire

e che promuove ogni germe di bene e di amore,

che denuncia e giudica,

che annuncia giustizia e offre perdono,

che tutti interpella, libera, consola e salva.

Questa stessa parola

tu hai affidato alla tua Chiesa,

perché sia madre e maestra per tutti i suoi figli

e all’umanità assetata di felicità e bisognosa di Dio

indichi la strada sicura

che conduce ogni uomo al porto sospirato dell’incontro con te,

unico e universale Salvatore del mondo:

con te, che nulla togli alla libertà e dignità dell’uomo,

che non impoverisci la nostra esistenza

ma la rendi più vera, più ricca, più bella e più grande,

perché a noi doni te stesso,

che sei nostra via, verità e vita,

nostro bene sommo e incomparabile tesoro.

Fa’, o Signore,

che continuiamo ad affidarci alla tua parola

e a fidarci di te,

per dare senso autentico e pieno

alla nostra vita e a quella del mondo

e così prendere il largo nel mare della storia,

per gettare le reti e conquistare gli uomini al Vangelo.

3. Animati da questa parola

che illumina e riscalda il cuore,

anche noi, come i discepoli di Emmaus,

ti invochiamo con tutta la forza della nostra debole fede:

“Resta con noi, Signore!”.

Fermati e non passare oltre,

entra nelle nostre case di viandanti senza meta.

Resta con noi:

non lasciarci prigionieri delle ombre della sera,

sostienici nella stanchezza,

perdona i nostri peccati,

orienta i nostri passi sulla via del bene,

donaci di gustare la grazia e la gioia della tua amicizia

che non delude e non abbandona mai.

Resta con noi, Signore,

perché senza di te non possiamo vivere:

per tutti tu sei l’assolutamente necessario!

Resta con noi, Signore,

perché tu, il risorto e il vivente,

sei «tra noi la speranza della gloria» (Colossesi 1, 27)

già in questa vita e oltre la morte.

Resta con noi, Signore,

perché tu sei la grande, la vera,

l’unica “ricchezza” della Chiesa e dell’umanità.

4. Resta con noi, o Signore,

e spezza ancora il pane per noi.

Ripeti tra noi

il gesto straordinario dell’ultima cena,

che hai ripreso con i discepoli di Emmaus la sera di Pasqua.

Confermalo con le tue parole di vita eterna

e continua a donarci il tuo Corpo e il tuo Sangue,

vero cibo e vera bevanda

per la vita del mondo.

È qui, nell’Eucaristia,

sorgente e vertice di tutta la vita cristiana,

cuore pulsante della nostra fede,

che noi ti riconosciamo, o Signore,

come presenza, dono e mistero

che edifica la Chiesa,

che ci accoglie come discepoli,

ci rende tuoi commensali,

ci fa, come te, servi per amore.

Noi ti adoriamo, o Dio,

che nel pane e nel vino eucaristici

a noi ti doni.

Ti doni e ti nascondi.

Ma anche se ti sottrai alla nostra vista,

mentre siamo seduti a tavola con te,

i nostri occhi si aprono e riconoscono il tuo volto

e il nostro cuore ti grida: “nostro Signore e nostro Dio”.

Siamo affascinati e conquistati,

come da vera beatitudine,

dall’invito alla tua cena.

Riacquistiamo la speranza perduta

e siamo colmati di una gioia immensa

che non possiamo trattenere per noi.

5. Ed ora, o Signore,

da questo fortunato incontro eucaristico

anche noi, come i discepoli di Emmaus,

partiamo senza indugio,

torniamo alle nostre case e alle nostre occupazioni,

corriamo sulle strade del mondo in cammino verso Gerusalemme,

la città di Dio e dell’uomo,

dove il frutto dell’incontro con te nella parola e nel pane

diventa vita di amore fraterno e universale.

In comunione con tutta la Chiesa,

anche noi ci riconosciamo “mandati”

ad annunciare a tutti la bella e lieta notizia

del tuo amore per gli uomini

e a farci appassionati e instancabili promotori

di comunione, di solidarietà e di pace,

così da costruire una società più equa e fraterna.

Rinvigoriti dalla forza del cibo eucaristico

e animati dal fuoco della missione

che lo Spirito accende in ciascuno di noi,

riprendiamo il nostro cammino

di pellegrini nella storia e per le strade del mondo,

quali missionari di Gesù e del suo Regno,

per rivolgere a tutti l’invito

a partecipare alla mensa del Signore,

promessa e garanzia di una vita vera

e di una festa che non avrà mai fine.

Resta con noi, Signore,

resta con noi,

ora e sempre.

Amen.    (+ Dionigi card. Tettamanzi)

Per questo la Chiesa veglia e non dorme nella notte di Pasqua: essa lì sperimenta e testimonia che il sonno di morte non c’è più, perché Gesù, nostra vita, per noi l’ha cambiato per sempre in un sonno dal quale ci si risveglia, dal quale si risorge.

  don Pasquale

Omelia Domenica delle Palme 2024

L’ICONA DELLA CONTRADDIZIONE E IL PROFUMO DELL’AMORE

Ciò che è accaduto a Gesù, che la liturgia di questa domenica di ricorda, mi fa tornare in mente la nota canzone di Mia Martini: ALMENO TU NELL’UNIVERSO, scritta nel 1972. Si tratta di un brano molto forte, soprattutto per il significato del testo. Dentro le parole del brano ci sono delle considerazioni sulla società contemporanea, sull’incoerenza delle persone e sulla mancanza di punti di riferimento:

Sai, la gente è strana

Prima si odia e poi si ama

Cambia idea improvvisamente

Prima la verità poi mentirà lui

Senza serietà

Come fosse niente

Sai, la gente è matta

Forse è troppo insoddisfatta

Segue il mondo ciecamente

Quando la moda cambia

Lei pure cambia

Continuamente, scioccamente.

A Gesù è accaduto l’esatto contrario: prima lo accolgono come un Messia con Palme e fronde, cantando: Osanna al Figlio David… più tardi griderà la liberazione di un noto assassino, Barabba, e la Crocifissione di Gesù.

Ci sorge spontaneo ipotizzare una possibile riflessione fatta da Gesù dinanzi a quello scenario pietoso di una umanità incoerente e traditrice: “Ne vale la pena morire per questa gente?”. Si, questo è quanto ci viene da chiedere a Gesù, avendo immaginariamente possibilità di intervistarlo: “Chi te l’ha fatto fare, Gesù???”. “Perché, quando sei stato insultato, maltrattato, offeso… non ti sei ritirato in cielo, alla destra del Padre Tuo, invece di subire questa ingiusto disprezzo e condanna???”.

La risposta sta nel comprendere che il “subire” il martirio non è stato un atto eroico ma un vero e proprio esemplare atto di amore!

L’evangelista Giovanni, narrando l’Ultima Cena, ci ricorda: “avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine” (Gv. 13,1).

L’amore vero non conosce pentimento, non lo si considera mai come “atto sprecato”. Giuda vede nell’atto di Maria che cosparge di olio profumato i piedi di Gesù. “Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariòta, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro” (Giov 12,1-11). Non si può capire nulla del messaggio di Gesù se si continua ragionare solo nell’ottica dell’utile. L’amore per sua natura è “inutile” cioè “gratuito”. L’amore vero sembra sempre uno spreco, una perdita. Chi ama è felice di amare anche se non guadagna nulla secondo la logica del mondo.

Per amore e solo per amore Gesù ha accettato la volontà del Padre!

Per amore e solo per amore hanno vissuto tanti uomini e donne che hanno imitato Gesù in diversi ambiti e modalità.

In primis il poverello di Assisi, Francesco che si è meritato il titolo di alter Christus e accanto a lui Madre Teresa di Calcutta e personaggi meno noti o non annoverati nell’elenco ufficiale del Santi di Santa Madre Chiesa come: don Lorenzo Milani, don Pino Puglisi, don Giuseppe Diana, Mons. Oscar Romeo….

L’amore non fa calcoli di convenienza, di opportunità, ma si offre come sorgente di acqua preziosa e pura per tutti.

“Dalle sue piaghe siamo stati guariti” e “dal suo fianco scaturirono sangue ed acqua”.

La canzone di Mia Martini, ad un certo punto aggiunge:

“Tu, tu che sei diverso

Almeno tu nell’universo

Non cambierai, dimmi che per sempre sarai sincero

E che mi amerai davvero di più, di più, di più

Non cambierai

Dimmi che per sempre sarai sincero

E che mi amerai davvero, davvero di più”.

Con un po’ di fantasia, immagino in questi giorni Gesù chiedere a ciascuno di noi di “amarlo di più”

don Pasquale

Omelia Mercoledì delle Ceneri 2024

14.02.2024

“memento mori”

Prima di morire bisogna innanzitutto vivere!

Il coraggio di vivere

La liturgia di questo inizio quaresima si mostra crudele e spietata nel ricordare le nostre origini e prospettare il nostro destino che ben conosciamo: RICORDA CHE VIENI DALLA POLVERE E ALLA POLVERE RITORNERAI!

Non c’è dubbio che la nostra cultura occidentale abbia rimosso il pensiero della morte.

Parlare di morte sembra essere diventato argomento “stonato e osceno”. Parlare di sesso sembra esse diventato normale e legale, parlare di morte sembra essere argomento da “pornografia”.

Nella nostra società, dunque, la morte è un tema spesso rimosso e dimenticato, sostituito dall’idea illusoria di crescita infinita e quindi immortalità.

A guardar bene, la vita ci è data per imparare a vivere e a morire.

Che strano: non abbiamo chiesto e deciso noi di venire al mondo e ci costa e scoccia parecchio doverlo lasciare…

Dovremmo comprendere tutti che ogni giorno è un regalo che viene fatto e non ce ne accorgiamo perché ci è dato anche di stare bene (anche se può capitare che qualcuno, per natura, dice sempre di non stare totalmente bene). Diventare consapevoli della nostra mortalità è quindi un esercizio indispensabile per imparare davvero a vivere e a godersi il viaggio meraviglioso della vita.

In ogni caso rimane il fatto che la morte rimane una matrigna o una sorellastra che non si vorrebbe mai incontrare e averci a che fare!! Anche Gesù ha paura della morte nel Getsemani (Lc 22,44) ha provato angoscia come tutti noi.

Nel corso della nostra esistenza, il Signore ci riempie di doni. I Vangeli ci parlano di Talenti (o mine) che il Signore distribuisce in numero differente, l’importante è impiegare questi talenti per se e per gli altri.

Non c’è peggior tristezza che chiudersi in sé stessi, nell’orizzonte della propria esistenza e del proprio egoismo. Non c’è peggior tristezza che arrivare alla fine della vita e accorgersi di non aver vissuto (cf. S. Olianti,Il coraggio di vivere, Oltre le paure che ci abitano, EMP, p.68) per limiti personali o per quanto dipeso dal di fuori di noi, da chi finisce col decidere arbitrariamente circa il nostro futuro e il nostro destino così come Primo Levi narra nel suo testo Se questo è un uomo scritto di getto tra il 1945 e il 1947, scritto, come ha affermato l’autore stesso, nella prefazione del libro, per soddisfare “il bisogno di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi” l’esperienza della sua deportazione nel Lager di Auschwitz in quanto ebreo.  Primo Levi scrive questo libro subito dopo essere rientrato a Torino nell’ottobre del 1945 sopravvissuto alla prigionia, obbedendo all’esigenza di far conoscere a tutti l’esperienza atroce dell’internamento.

Considerare e contemplare la propria mortalità può portare a coltivare un profondo senso di gratitudine e di apprezzamento nei confronti della vita. Se queste sono le premesse, occorre allora ribadire che la liturgia odierna ci vuole ricordare anche che: prima di morire bisogna innanzitutto vivere!

Unitamente al richiamo del tempus fugit, il memento mori divenne, inoltre, il motto dei monaci trappisti, che in questo modo ricordavano la caducità del tempo presente e l’imminenza del giudizio particolare per la vita o la morte eterna.

ll concetto di memento mori ci ricorda costantemente la transitorietà di ogni cosa, inclusi gli affetti più cari. Questa consapevolezza può guidarci verso legami interpersonali più profondi e autentici. Ci spinge a valorizzare le nostre relazioni, a superare le piccole incomprensioni e a manifestare con maggior libertà amore e gratitudine. Quando riconosciamo l’impermanenza della vita, diventiamo più bravi a coltivare i nostri legami con gli altri.

La contemplazione della morte ci incoraggia anche a considerare l’eredità che potremmo lasciare in futuro, e quindi quello che sarà il nostro impatto sul mondo, come saremo ricordati. Grazie a questo siamo motivati a lasciare un segno che sia positivo nel mondo, e lo faremo dando un contributo alla società e alle generazioni successive.

Il coraggio di decidere

L’emblema dell’incapacità di scegliere è il governatore Pilato!

Sarà meglio decidere e agire correndo il rischio di sbagliare per poi correggersi, che attendere passivamente per paura di sbagliare o di non essere perfetti. Per migliorare te stesso e la tua vita dovrai essere disposto a fare ciò che altri non sono disposti a fare.

Il Papa nel Messaggio per questa Quaresima Attraverso il deserto Dio ci guida alla libertà

Chiediamoci: desidero un mondo nuovo? Sono disposto a uscire dai compromessi col vecchio.

Papa Francesco è convinto che oggi va denunciato è un deficit di speranza….

Dio non si è stancato di noi.

Accogliamo la Quaresima come il tempo forte in cui la sua Parola ci viene nuovamente rivolta: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (Es 20,2). È tempo di conversione, tempo di libertà….È tempo di agire, e in Quaresima agire è anche fermarsi. Fermarsi in preghiera, per accogliere la Parola di Dio, e fermarsi come il Samaritano, in presenza del fratello ferito. L’amore di Dio e del prossimo è un unico amore. Non avere altri dèi è fermarsi alla presenza di Dio, presso la carne del prossimo. Per questo preghiera, elemosina e digiuno non sono tre esercizi indipendenti, ma un unico movimento di apertura, di svuotamento: fuori gli idoli che ci appesantiscono, via gli attaccamenti che ci imprigionano. Allora il cuore atrofizzato e isolato si risveglierà. Rallentare e sostare, dunque…. La forma sinodale della Chiesa, che in questi anni stiamo riscoprendo e coltivando, suggerisce che la Quaresima sia anche tempo di decisioni comunitarie, di piccole e grandi scelte controcorrente, capaci di modificare la quotidianità delle persone e la vita di un quartiere.

don Pasquale

Avanti o indietro?

L’anestesia dell’inerzia

Omelia del Mercoledì delle Ceneri 2023

Il rito che compiremo tra poco, dà il titolo a questo speciale mercoledì dell’anno liturgico, denominato mercoledì delle Ceneri che inaugura un tempo di grazia che dura 40 giorni, dove la parola chiave è: CONVERSIONE.

Il simbolo principale questo giorno è la CENERE.

Come la presenta la Bibbia? Le ceneri sono segno della debole e fragile condizione dell’uomo. Abramo rivolgendosi a Dio dice: “Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere…” (Gen 18,27). Giobbe riconoscendo il limite profondo della propria esistenza, con senso di prostrazione, afferma: “Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere” (Gb 30,19). In tanti altri passi biblici può essere riscontrata questa dimensione precaria dell’uomo simboleggiata dalla cenere (Sap 2,3; Sir 10,9; Sir 17,27).

Ma la cenere è anche il segno esterno di colui che si pente del proprio agire malvagio e decide di compiere un rinnovato cammino verso il Signore. Ricordiamo il testo biblico della conversione degli abitanti di Ninive a motivo della predicazione di Giona: “I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere” (Gio 3,5-9).

Siamo dunque chiamati a vivere il gesto dell’imposizione delle Ceneri non come un rito magico ma come un rito che rimanda a realtà più profonde al ritorno alla verità di noi stessi (quello di cui siamo fatti) per poter meglio leggere la nostra realtà, le cose a cui dobbiamo dare importanza. Il peccato di Adamo è stato quello di non riconoscere la propria creaturalità, “essere come Dio, senza Dio, contro Dio”.

È quello che vive spesso l’uomo d’oggi: vuole eliminare Dio dal proprio orizzonte di vita, essere padrone assoluto di sé stesso, portandosi così inevitabilmente alla rovina, perché di fatto non è “padrone totale di sé”, ma deve riconoscere la propria creaturalità e fragilità. Don Tonino Bello diceva che la Quaresima è “un cammino dalla testa ai piedi”, dalla cenere sul capo alla lavanda dei piedi del giovedì santo. Un percorso cioè che deve “rivoltare” la nostra vita, per passare di nuovo “dall’io a Dio”.

Dicevo all’inizio che la parola “chiave” di questo tempo liturgico, contrassegnato dal colore liturgico viola, è: CONVERSIONE. La parola italiana ha radici nella parola greca “metanoeite” che vuol dire cambio di mentalità, di modo di pensare, cambiare totalmente la direzione del cammino intrapreso. Sto andando in una direzione e cambio completamente verso un’altra. Cosa vuol dirci la chiesa e la liturgia con questa parola-chiave del tempo di Quaresima? In primo luogo invitarci a verificare il nostro modo di pensare: domandarci ad esempio quali sono i criteri che guidano le nostre decisioni, le nostre azioni. Il profeta Gioele dice: laceratevi il cuore e non le vesti. Cosa significa? Che una religione solo esteriore non è gradita a Dio (Lacerarsi le vesti come segno penitenziale…). Quello che il Signore vuole è un atteggiamento più profondo: lacerarsi il cuore. Significa ad esempio che a una pratica formale della Religione (partecipare ai riti solo per la visibilità sociale…) si deve sostituire un cambio reale nel modo di trattare gli altri, nel perdono, nella carità concreta. Ci dice Gesù: “non praticate la vostra giustizia davanti agli uomini”, ciò che dovrebbe maggiormente starci a cuore è l’effettiva lode a Dio, il desiderio di entrare sempre più in relazione con Lui.

Il Papa spesso ci invita a fuggire dalla tentazione dell’indifferenza.

Una malattia che sembra aver preso piede ovunque. L’uomo non sembra più interessarsi dell’altro uomo, in particolare per chi è povero e indifeso.

Il nostro cammino spirituale deve progredire sempre di più con lo scorrere del tempo e degli anni e tentare di raggiungere la pienezza della maturità cristiana (Cf Lev. 19, 1-2.17-18  e Mat. 5, 38-48; VII dom to/A).

Tuttavia, molto spesso, è difficile capire concretamente come fare dei passi avanti, e si rischia di rimanere sempre fermi allo stesso punto. E qui sta l’inganno! Chiarisce la questione, in poche parole, San Bernardo di Chiaravalle, quando afferma che: non progredire è regredire.

Non andare avanti significa stare sempre più indietro, poiché la fede è un fuoco che va costantemente alimentato, bersagliato com’è da vari nemici: noi stessi, il demonio, le prove, la sfiducia di sé…

In una delle sue opere maggiori, la celebre Salita al Monte Carmelo, composta tra il 1579 e il 1585, il mistico spagnolo san Giovanni della Croce incise su carta una sentenza che chi vuol decidersi a progredire nella vita dello Spirito farebbe bene a tenere a mente: “In questo cammino non andare avanti equivale a tornare indietro e non guadagnare è come perdere”. Chi non continua a salire la santa montagna comincia a scendere nella valle della mediocrità.

La vita non è stasi, è movimento, sempre!

Le possibilità non sono tante: o si sale o si scende, o si va avanti o si torna indietro, o si progredisce o si regredisce, ma se ci si ferma, è come quell’acqua che ristagna e imputridisce.

Dobbiamo fare, poi, i conti con quella presunzione che scavalca le possibili fragilità che potrebbero colpirci e ferirci e che ci fa credere di poter star sempre bene, in piedi e mai capaci di cadere!

La Scrittura ci ricorda e corregge il tiro: «Il giusto cade sette volte al giorno e si rialza», sono parole tratte dal libro dei Proverbi (24,16).

Se quanto detto vale per un singolo, esso vale anche e ancor più per una comunità come la Chiesa, la quale, nella sua millenaria saggezza, non a caso ha coniato il famoso assioma Ecclesia sempre reformanda.

Gridava il grande teologo francese del Novecento Yves Congar: “Ah! Se si potesse rinnovare il volto umano della Chiesa e fare in modo ch’essa appaia meglio come Chiesa di Cristo!”.

Troppi battezzati non si sentono più parte della comunità ecclesiale e vivono ai margini di essa. Spesso ci si rivolge alle parrocchie solo per ricevere servizi religiosi!

Conversione può risuonare anche come sinonimo di Ricominciare che è una postura del cuore di chi sceglie di lottare contro l’anestesia dell’inerzia e di ridare ogni giorno senso e valore a ciò che fa, come se fosse ogni volta la prima volta.

Discorso che diventa tanto più valido quanto più la realtà ci fa scontrare con i limiti e le fragilità che ci appartengono, contro i quali lottiamo di continuo, spesso senza venirne a capo. Come a dire che errare e ricominciare è azione quotidiana. E, nella stessa opera citata sopra, san Giovanni esorta: “Chi non ha cura di riparare anche la più piccola screpolatura del vaso, perderà tutto il liquido in esso contenuto”.

Viviamo questa stagione dell’anno liturgico come “tempo terapeutico” per togliere le screpolature che ostacolano la circolazione e la realizzazione del bene, lasciandoci guidare dalla presenza di Dio in noi. 

don Pasquale

Omelie del Triduo Pasquale 2022

UN AMORE SUPERLATIVO AD ALTA FEDELTA

Omelia del Giovedì Santo – 14.04.2022

Sac. Pasquale Zecchini

Una strana amarezza serpeggiava nel cuore di tutti in quella Cena caratterizzata da antichi racconti.

Parole strane uscivano dalla bocca del loro Maestro: “Uno di voi mi tradirà…”; “Il Figlio dell’uomo sta per partire…”; “è l’ultima coppa che bevo con voi finché non verrà il Regno di Dio” (Mt 26,20-29).

È la notte del duello tra tradimento e amore.

Tanta violenza si abbatterà, di lì a breve, su Gesù mentre Lui continuerà a testimoniare fedeltà e amore.

Gesù non misurato il suo amore con la bilancia o con un centimetro. Un amore che passa attraverso la logica del calcolo non è vero amore! 

La totalità del dono (o del darsi), del non far sconti, e il non accontentarsi del minimo indispensabile è proprio del modo di concepire l’amore cristiano.

L’amore di Gesù è un amore in pienezza, nella totalità, al massimo grado, in modo superlativo!

Quello di Gesù è un vortice d’amore

Giovanni nel suo Vangelo ci racconta ciò che Gesù fece nel contesto dell’Ultima Cena: “Si alzò da tavola, depose le vesti, si cinse di un asciugatoio e versò dell’acqua nel catino”. Assieme all’acqua versò tutto il suo amore.

Ai piedi degli uomini il suo amore si fa servizio.

Il suo amore, dunque, non è un amore qualunque, ma un amore sconfinato, senza limiti, un amore che non si arrenda, come quello di Dio.

Nel cenacolo, dunque, si può apprendere l’arte di amare; si può dire che Gesù ha impartito una lezione di AMORE ESAGERATO, che non dice mai: BASTA!

Dinanzi a questo amore i nostri volti dovrebbero arrossire per il livello mediocre che in tatti tratti non gli assomigliamo con la nostra capacità di amare!

L’INUTILE SPRECO

Omelia del Venerdì Santo – 15.04.2022

Sac. Pasquale Zecchini

I Vangeli della Passione non si prefiggono semplicemente di commuoverci consegnandoci i dettagli delle ultime ore della vita terrena di Gesù, intrise di sofferenza e patimenti, bensì vogliono indurci ad attuare profondi e autentici cambiamenti riguardo ai nostri modi di essere e di agire.

Potremmo, infatti, ritrovarci in molti o alcuni dei personaggi che incontriamo nel brano della passione di Gesù, che ci assomigliano nel non-amare, specie quando:

  • Sono io che accusa, 
  • chi bastona, 
  • chi sputa umiliazioni, 
  • chi rinnega, 
  • chi imprigiona, 
  • chi se ne lava le mani, 
  • chi scappa, 
  • chi mette il suo interesse davanti a tutto e a tutti, 
  • chi svende, 
  • chi fa le cose perché deve farle, 
  • chi non si fa domande, 
  • chi non sa vedere il dolore dell’altro, 
  • chi non sopporta l’ingiustizia, 
  • chi si lascia condizionare dalle apparenze e dalla massa, 
  • chi si lascia rubare la speranza, 
  • chi si fa impiccare dagli errori anziché confidare nella misericordia del Padre… 

Quella unzione di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, utilizzato da Maria, la sorella di Marta e di Lazzaro a Betania alcuni giorni prima della passione di Gesù, diventa prototipo dell’amore divino che non fa risparmi e non ricorre alla “concorrenza” bensì si avvale “dell’originale”.

L’evangelista Giovanni ci dice: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”, cioè in pienezza, al massimo grado, fino all’estremo, che lo porterà a dire sulla croce: “Tutto è compiuto”.

Sempre nella logica del dono, Gesù, secondo la versione di Giovanni, dalla Croce emise, cioè fece dono, trasmise, partecipò lo Spirito che abitava in Lui.

Il Suo ultimo respiro è una vera e propria effusione di Spirito, una Pentecoste, una Epiclesi che diventa capace di rinnovare la faccia della terra!

L’azione liturgica del Venerdì Santo non è un rito funebre, una commiserazione di un morto.

Si sta sotto la Croce con l’atteggiamento degli assetati che desiderano avvicinarsi alla fonte per attingere vino nuovo impregnato di Spirito!

Di questo vino dovremmo avvertirne continuo bisogno!

Come il nostro corpo ha bisogno di continuo nutrimento, parimenti la nostra anima.

Diversamente la fede potrebbe vacillare così come Pietro ha sperimentato sulla sua pelle.

Rinnegare Gesù per lui era impensabile, d’altronde per Lui aveva lasciato tutto e lo aveva seguito. 

Lo amava per davvero ma di un amore impulsivo così come era caratterialmente. Per Lui avrebbe dato e fatto tutto! Ma poi non ce l’ha fatta nell’ora della prova!

Da quella esperienza Pietro saprà trarre insegnamento, imparerà a crescere nella fede e nell’adesione più forte al Suo Signore, per passare da un amore fatto di parole e belle promesse ad azioni tangibili d’amore.

MISSILI O CAMPANE A FESTA? PASSIAMO A CIÒ CHE NON PASSA

Omelia del Sabato Santo – 16.04.2022

Sac. Pasquale Zecchini

Il “tutto è compiuto”, scandito dalle labbra di Gesù il venerdì santo, aveva mandato tutti a casa con la convinzione che la vicenda umana di Gesù fosse ormai, e per sempre, conclusa.

Quella pietra aveva sigillato quel sepolcro ove immobile vi resta un cadavere.

Per le donne c’è ancora qualcosa da fare l’indomani, di buon mattino, vanno per onorare il corpo sepolto di Gesù.

La sorpresa sarà la tomba vuota! Il Cristo, spogliato delle sue vesti, è Risorto ed è tornato alla vita lasciando nel sepolcro bende e sudario.

Nudo con la verità che gli appartiene!

Un giorno aveva detto: “Io sono la via, la verità e la vita”.

VIA  –  VERITA’  –  VITA

esprimono alla perfezione i bisogni dell’uomo di oggi!

Il mondo vive in uno stato di confusione, un labirinto che non ci permette di riconoscere la VIA più consona da seguire.

Ogni uomo ha sete di autenticità, capace di mettere al bando falsità e mistificazioni, equivoci e sotterfugi, di dire basta con le maschere e i travestimenti, finzioni e mimetismi.

L’uomo ha profonda sete di vita autentica, capace di operare alla luce del sole!

Come vorrei che, alla luce della Pasqua, la Chiesa splenda di quella luce o quel sole che non conosce tramonto, che promana da Cristo: luce del mondo e sole di giustizia!

Una Chiesa fedele alla Sua missione, più aderente al Vangelo, più disponibile, se necessario, a cambiare per assomigliare sempre più al Risorto.

Carissimi, la Pasqua di quest’anno corre il rischio di non farci celebrare questa festa col suono delle campane a distesa ma col rumore del bombardamento dei missili, e il rumore di quelle armi che i nostri bambini di catechismo hanno depositato presso l’altare della reposizione, ove troneggia ora il Risorto.

Pasqua vuol dire passaggio! Il mio invito e l’augurio che rivolgo a ciascuno è quello di PASSARE A CIÒ che NON PASSA!

Si, PASSIAMO dal confidare in noi stessi al confidare in Cristo Risorto, nostra Speranza! Passiamo dalla Sua parte col cuore prima che col corpo.

A tutti voi giunga il mio saluto e il mio augurio di Santa Pasqua.

don Pasquale