Omelia festa s. Girolamo 30 settembre 2023

S. GIROLAMO: AMANTE DELLA VERITÀ E DELLA SACRA SCRITTURA

Quando diciamo che: “Anche i Santi hanno perso la pazienza” non è un modo di dire ma sacrosanta verità ravvisabile nel nostro Santo Patrono Girolamo. Scontroso e dal carattere difficile, intento a condannare vizi e ipocrisie e a polemizzare spesso anche con dotti e sapienti, Girolamo, uomo irruento, spesso polemico e litigioso, era detestato ma anche amato. Sicché, morto Damaso, decide di stabilirsi in Terra Santa, seguito poi da alcuni monaci suoi fedeli e da un gruppo di sue seguaci, fra cui la nobildonna Paola con la figlia Eustochio. Intraprende un pellegrinaggio, raggiunge l’Egitto poi si ferma a Betlemme, dove apre una scuola offrendo il suo insegnamento gratuitamente. Grazie alla generosità di Paola, vengono poi costruiti un monastero maschile, uno femminile e un ospizio per i viaggiatori in visita ai luoghi santi.

Il ritiro a Betlemme

Girolamo trascorre a Betlemme tutto il resto della sua vita, dedicandosi sempre alla Parola di Dio, alla difesa della fede, all’insegnamento della cultura classica e cristiana e all’accoglienza dei pellegrini. Muore nella sua cella, nei pressi della grotta della Natività, il 30 settembre probabilmente del 420. Non era facile dialogare con lui, eppure ha dato tanto alla cristianità con la sua testimonianza di vita e i suoi scritti. A lui si deve la prima traduzione in latino della Bibbia, la cosiddetta Vulgata – con i Vangeli tradotti dal greco e l’Antico Testamento dall’ebraico – che ancora oggi, pur se revisionata, è il testo ufficiale della Chiesa di lingua latina. Quella Parola, così tanto studiata, e commentata, si è pure “impegnato a viverla concretamente”, ha detto Benedetto XVI, che a Girolamo ha dedicato due catechesi alle udienze generali del 7 e del 14 novembre 2007.

“Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo”  (SAN GIROLAMO-Prol. al commento del Profeta Isaia)

In tale circostanza il Pontefice si chiedeva: “Che cosa possiamo imparare noi da San Girolamo? Mi sembra soprattutto questo: amare la Parola di Dio nella Sacra Scrittura – ha suggerito Benedetto XVI – è importante che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di Dio, donataci nella Sacra Scrittura … è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva”. Girolamo è uno dei quattro Padri della Chiesa d’Occidente (insieme ad Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno), proclamato dottore della Chiesa nel 1567 da Pio V. Di lui ci restano commentari, omelie, epistole, trattati, opere storiografiche e agiografiche; assai noto il suo De Viris Illustribus, con le biografie di 135 autori per lo più cristiani, ma anche ebrei e pagani, per dimostrare quanto la cultura cristiana fosse “una vera cultura ormai degna di essere messa a confronto con quella classica”. Da non dimenticare il suo Chronicon – la traduzione e rielaborazione in latino di quello in greco di Eusebio di Cesarea andato perduto – con la narrazione della storia universale, tra dati certi e miti, a partire dalla nascita di Abramo fino all’anno 325. Infine, ricche di insegnamenti e accorati consigli, molte epistole che lasciano trasparire la sua profonda spiritualità.

Oltre la grande lezione dell’amare Cristo e la Chiesa, San Girolamo ci insegna anche ad essere amanti della verità e a detestare la menzogna.

La maschera dell’ipocrisia e il volto della verità  (Mazzasabato, 4 settembre 2021)

Lu)igi Pirandello, uno dei maggiori scrittori e drammaturghi e  diceva che “imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai molte maschere e pochi volti”. E con queste parole “fotografava” l’amara realtà della vita, il fatto cioè che purtroppo il mondo è pieno di ipocriti. Gente che, appunto, si mette una maschera per apparire quello che non è. Buoni che buoni non sono, devoti solo di facciata, trasformisti, capaci di adattarsi, di modellarsi come plastilina alle situazioni per opportunismo, per fare carriera, per convenienza. Maschere, non volti. E quante volte anche noi ci siamo messi una maschera? Eppure, per i credenti, la maschera è qualcosa di terribile, di escludente, perché come disse Benedetto XVI nell’omelia della Messa della domenica delle palme, nel 2007, “può stare nel luogo santo chi ha mani innocenti e cuore puro (Sal. 23). Mani innocenti sono mani che non vengono usate per atti di violenza, sono mani che non sono sporcate con la corruzione e con tangenti. Cuore puro, quando il cuore è puro? È puro un cuore che non si macchia con menzogna e ipocrisia, un cuore che rimane trasparente come acqua sorgiva perché non conosce doppiezza”.

Parole molto chiare, e sappiamo purtroppo come nella chiesa ci sia molta, troppa ipocrisia. Nell’udienza generale del 25 agosto 2021, Papa Francesco è andato ancora oltre: «Cosa è l’ipocrisia? Si può dire che è paura per la verità. L’ipocrita ha paura per la verità. Si preferisce fingere piuttosto che essere sé stessi. È come truccarsi l’anima, come truccarsi negli atteggiamenti, come truccarsi nel modo di procedere: non è la verità. E la finzione impedisce il coraggio di dire apertamente la verità e così ci si sottrae facilmente all’obbligo di dirla sempre, dovunque e nonostante tutto. La finzione ti porta a questo: alle mezze verità. E le mezze verità sono una finzione: perché la verità è verità o non è verità. Ma le mezze verità sono questo modo di agire non vero… E in un ambiente dove le relazioni interpersonali sono vissute all’insegna del formalismo, si diffonde facilmente il virus dell’ipocrisia. Quel sorriso che non viene dal cuore, quel cercare di stare bene con tutti, ma con nessuno».

L’ipocrita, insomma, non è altro secondo Francesco che «una persona che finge, lusinga e trae in inganno perché vive con una maschera sul volto, e non ha il coraggio di confrontarsi con la verità. Per questo, non è capace di amare veramente – un ipocrita non sa amare – si limita a vivere di egoismo e non ha la forza di mostrare con trasparenza il suo cuore. Ci sono molte situazioni in cui si può verificare l’ipocrisia. Spesso si nasconde nel luogo di lavoro, dove si cerca di apparire amici con i colleghi mentre la competizione porta a colpirli alle spalle. Nella politica non è inusuale trovare ipocriti che vivono uno sdoppiamento tra il pubblico e il privato». E soprattutto «è particolarmente detestabile l’ipocrisia nella Chiesa, e purtroppo esiste l’ipocrisia nella Chiesa, e ci sono tanti cristiani e tanti ministri ipocriti. Non dovremmo mai dimenticare le parole del Signore: “Sia il vostro parlare sì sì, no no, il di più viene dal maligno”. Dobbiamo convincerci, dunque, che Gesù condanna l’ipocrisia. Dobbiamo coltivare la verità e conformarci alla verità, allora sì che potremmo dirci realmente cristiani, cioè seguaci e imitatori di Gesù Cristo, che un giorno si definito come: VIA, VERITÀ e VITA (Gv.14,6).

È quanto San Girolamo si è sforzato di fare in tutta quanta la sua esistenza terrena.

Don Pasquale

La Parrocchia S. Girolamo ricorda i suoi 65 anni di vita

18 Gennaio 1958  –  2023

Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (Col 2,7) 

DALLA MANGIATOIA DI BETLEMME AI CENACOLI ECCLESIALI:

Comunione –  Partecipazione –  Missione

Con l’espressione “radicato”, l’Apostolo Paolo evoca le immagini dell’albero e delle radici che lo alimentano; poi aggiunge: “fondato” che fa invece riferimento alla costruzione di una casa; “saldo” rimanda alla crescita della forza fisica o morale. 

La prima immagine, dunque, è quella dell’albero, fermamente piantato al suolo tramite le radici, che lo rendono stabile e lo alimentano. Senza radici, sarebbe trascinato via dal vento, e morirebbe. Come le radici dell’albero lo tengono saldamente piantato nel terreno, così le fondamenta danno alla casa una stabilità duratura Stendere le radici, per il profeta, significa riporre la propria fiducia in Dio. Da Lui attingiamo la nostra vita; senza di Lui non potremmo vivere veramente giacché Egli stesso un giorno disse: “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,1-8). E il grande Agostino direbbe: “Ci hai fatti per Te, o Signore e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” (Confessioni I,1,1).

Gesù stesso si presenta come nostra vita (cfr Gv 14,6). Perciò la fede cristiana non è solo credere a delle verità, ma è anzitutto una relazione personale con Gesù Cristo. Quando entriamo in rapporto personale con Lui, Egli rivela la nostra identità e, nella sua amicizia, la vita cresce e si realizza in pienezza. 

Con questo brano biblico l’Apostolo Paolo ci invita, questa sera, a chiederci: Quali sono le nostre radici?

Questo brano si completa con un altro dell’Antico Testamento: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti” (Ger 17,7-8). 

Mediante la fede, noi siamo fondati in Cristo (cfr Col 2,7), come una casa è costruita susolide fondamenta. 

Nella storia sacra abbiamo numerosi esempi di santi che hanno edificato la loro vita sulla Parola di Dio. Il primo è Abramo. Il nostro padre nella fede obbedì a Dio che gli chiedeva di lasciare la casa paterna per incamminarsi verso un Paese sconosciuto. “Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fu chiamato amico di Dio” (Gc 2,23). 

Essere fondati in Cristo significa rispondere concretamente alla chiamata di Dio, fidandosi di Lui, mettendo in pratica la sua Parola, e coltivando una vita di fede. 

Non da soli, o isolatamente, ma con attraverso la Chiesa. Non siamo credenti isolati, ma, mediante il Battesimo, siamo membri di questa grande famiglia, ed è la fede professata dalla Chiesa che dona sicurezza alla nostra fede personale. 

Il Credo che proclamiamo nella Messa domenicale ci protegge proprio dal pericolo di credere in un Dio che non è quello che Gesù ci ha rivelato: “Ogni credente è come un anello nella grande catena dei credenti. Io non posso credere senza essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribuisco a sostenere la fede degli altri” (Catechismo della Chiesa Cattolica 166). Questa sera corre l’obbligo morale di ringraziare il Signore per il dono della Chiesa, la Sposa di Cristo che testimonia la Sua presenza e dispensa i doni di Dio nel nostro quartiere che, fino agli anni 60, era un quartiere periferico residenziale per vacanzieri del ceto piccolo o medio borghese barese.

Nella storia della Chiesa, i santi e i martiri hanno attinto dalla Croce gloriosa di Cristo la forza per essere fedeli a Dio fino al dono di se stessi; nella fede incarnata nella quotidianità, e celebrata, professata e vissuta, in una comunità di fede (Chiesa) e, così, hanno trovato la forza per vincere le proprie debolezze e superare ogni avversità. 

Voglia il Signore che anche noi impariamo a credere di più, a vivere e testimoniare la fede ogni giorno, per diventare strumento per far ritrovare soprattutto ai giovani il senso e la gioia della vita, che nasce dall’incontro con Cristo!

Carissimi, da poco abbiamo celebrato il Santo Natale! 

Nelle Chiese ci sono ancora i presepi che ci ricordano il grande avvenimento dell’Incarnazione del Figlio di Dio nella nostra natura umana.

La Chiesa potremmo paragonarla al presepe di Betlemme dove al centro regna il Cristo.

Come nel presepe Maria accoglie coloro che si degnano di far visita al suo Figlio divino, e dopo la Sua morte e Risurrezione tenne uniti gli Apostoli per evitare la loro dispersione, ancora oggi continua ad accogliere e vegliare su tutti quanti noi, sulla Chiesa voluta dal suo Figlio, per questo ci esorta ancora e ci dice: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2,1-11).

Come Maria, anche la Chiesa deve continuamente lasciarsi plasmare e guidare dal Cristo: “Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Luca 2, 41-50).

Come il Bambino nella mangiatoia è segno di speranza per tutti, particolarmente per gli ultimi, così la Chiesa deve splendere non di luce propria ma riflessa, ed essere segno di speranza nel mondo, segno e trasparenza della presenza di Dio nella ferialitàdell’esistenza umana e non “orfana di Padre” o che dà lo “sfratto a Dio” rintanandolo in una sorta di “casa di riposo” per essere, così, liberi di camminare e agire di “testa propria” e poter dire sottovoce come i veneti: faso tuto mi!

Sac. Pasquale Zecchini

8 agosto 1991 – 8 agosto 2021: lo sbarco dei ventimila albanesi sulla Vlora 30 anni dopo

Il video dell’inaugurazione del Largo Sono Persone 8.8.1991

Domenica 8 agosto 2021, in occasione dei 30 anni dallo sbarco di 20.000 albanesi dalla nave Vlora, è stata inaugurata una nuova piazzetta su lungomare di San Girolamo intitolata proprio “Sono persone 8.8.1991”, in ricordo della celebre frase pronunciata dall’allora Sindaco Enrico Dalfino «Sono persone, persone disperate. Non possono essere rispedite indietro, noi siamo la loro unica speranza». Sulla stessa piazza svetta un monumento che ripete la stessa frase in codice morse, linguaggio universale.All’evento ha partecipato anche il nostro don Pasquale, così come il Sindaco di Bari Antonio Decaro e i Sindaci di Tirana e Durazzo.

Più tardi nella serata si è tenuto uno spettacolo dal titolo “La nave dolce” che ha ripercorso i concitati momenti di quei giorni dal punto di vista degli albanesi che sono sbarcati e da quello dei baresi presenti.

Don Pasquale con i sindaci di Durazzo e Tirana e l’artista Jasmine Pignatelli, autrice dell’opera Sono persone 8.8.1991

Dalla Testimonianza degli effetti dello sbarco degli Albanesi in Terra di Bari di don Carmine Leuzzi, fratello del nostro diacono Giacomo

Nel 1992, a Tirana, capitale della nazione Albanese, cade il regime dittatoriale e criminale di Enver Hoxhia, in seguito ad una sommossa studentesca organizzata per chiedere libertà e cambiamento verso una nuova politica democratica.

Le motivazioni che hanno spinto la popolazione albanese, in particolare uomini, poche donne, molti giovani, studenti, professionisti, poliziotti e molti che erano detenuti in carcere, (perché in quei giorni, sono state aperte a scopo politico le porte di tutte le carceri), ad imbarcarsi su navi, raggiungendone il massimo della capienza, e partire verso il porto di Brindisi, di Bari e altri porti, sono state, innanzitutto, le gravissime condizioni socio-sanitarie ed umanitarie che lo stesso regime ateo, comunista e materialista, aveva lasciato in eredità ad una popolazione affranta e sfinita dopo cinquanta anni di miseria e povertà.

Erano pieni di speranza, aperti aperti a vivere giorni di risveglio e di ricostruzione umana e politica. Inoltre, prima della caduta del regime comunista, l’Albania era una Nazione chiusa nei propri confini nazionali. Con il cambiamento politico, essa si è aperta ad altre realtà, anche attraverso i canali televisivi nazionali e stranieri. Così, la sua popolazione poté anche vedere quella che era la ricchezza economica italiana.

Vennero quindi in Italia sognando la fortuna, per trovare lavoro, inserirsi nelle università e vivere la libertà che si respirava in Europa, in America ed in tutte le Nazioni sviluppate e progredite. Ma la popolazione, recuperata la libertà politica, non era in grado di affrontare le nuove proposte che venivano dalle nazioni straniere. Per questo, alcuni di loro, arrivati al porto di Bari, e notando di essere stati rinchiusi in uno stadio, con tutti i disagi conseguenti e nonostante gli interventi prodigiosi del sindaco di Bari, Enrico Dalfino, hanno messo in atto atteggiamenti incivili e tumultuosi ed in tanti hanno tentato di fuggire da quel luogo per recarsi in altre città e nazioni europee.

La popolazione della città di Bari ha tuttavia riservato ai cittadini della Nazione albanese un’accoglienza meritoria. Molti si sono veramente prodigati per il bene di queste persone. Sono stati mesi molto impegnativi e duri.

Io, parroco della Chiesa di San Pio X nella periferia di Bari, ho accolto alcuni giovani e attraverso i loro racconti, ho imparato ad conoscere ogni aspetto socio-politico dell’Albania e ad amare quella nazione, perché perseguitata per la fede cristiana cattolica, con molti martiri. Sono arrivato al punto di chiedere all’Arcivescovo, S. E. Mons. Mariano Magrassi, di esservi inviato in missione diocesana, per rievangelizzarli alla fede della Chiesa cattolica in Gesù Cristo, risorto dalla morte di Croce, speranza concreta per quella Nazione, con un’intensa pastorale missionaria.

Benedetto sia il Signore che ha compiute meraviglie in questi anni, con la sua Grazia.
d. Carmine Leuzzi

Non abbiamo più vino

Come Pastore e guida della comunità parrocchiale di S. Girolamo, che cammina in mezzo al suo gregge, sono più che convinto del fatto che nessuno, nei giorni scorsi, si è mai arreso e rassegnato circa la possibilità che Gaetano non tornasse più a “fare comunità” e a servirla con l’amore e la dedizione di sempre.

Anche quando negli ultimi giorni le notizie sul suo stato di salute si aggravavano sempre più, nessuno ha voluto prepararsi al peggio e, come una macchina che “camminava a singhiozzo” e minacciava di fermarsi, con la nostra incessante preghiera abbiamo provato a dare una “spinta in avanti” con la speranza che riprendesse quota.

Ma questo pomeriggio la macchina si è fermata e ha trovato tutti noi, l’intera comunità parrocchiale nell’incredulità e profondo sgomento.

Lui, il testimone fedele, il servo buono e fedele, la ricarica umana e spirituale per tanti, il piccolo e grande sostenitore dei deboli e dei malati, si è spento come una delle tante candele che spesso ha spento al termine delle celebrazioni liturgiche in Parrocchia!

E come cantore della misericordia di Dio ha intonato il suo canto liturgico preferito: ECCOMI!

Eccomi è quanto spesso “ha detto” Gaetano nel contesto della vita parrocchiale (non sempre a parole)!

Eccomi ha detto nel servizio liturgico all’altare specie la domenica quando assicurava la sua preghiera e il suo servizio almeno per due delle tre Sante Messe;

Eccomi ha detto quando c’era bisogno di distribuire l’Eucarestia ai fratelli in Chiesa e nelle case agli ammalati e anziani;

Eccomi ha detto attraverso il prezioso servizio della distribuzione della Santa Comunione agli anziani e ammalati nei reparti della struttura “Villa Giovanna”;

Eccomi ha detto durante le processioni;

Eccomi ha detto durante le rappresentazioni del presepe vivente;

Eccomi ha detto quando si trattava di inneggiare al Signore e alla Vergine Santa le lodi attraverso concerti musicali;

Eccomi ha detto nei momenti ludici quando ci allietava col suo buon vino.

Carissimo Gaetano, ci mancheranno i tuoi silenziosi ma preziosi ECCOMI!

Sono certo che lascerai un vuoto nella nostra comunità parrocchiale. 

Ma anche se non ti vedremo più fisicamente, siamo certi che non sei andato via per sempre!

Anche tu hai ricevuto un trasferimento di parrocchia non richiesto da te, ma dal Parroco della grande Cattedrale del cielo che, evidentemente, aveva bisogno di te! 

E tu, come tuo solito, hai detto ancora una volta il tuo Eccomi, questa volta aggiungendo: io vengo…!!!

Arrivederci Gaetano, corri pure verso il tuo e nostro Dio, digli che su questa terra abbiamo ancora tanto bisogno di Lui!

Continua a vegliare sulla tua famiglia domestica e questa famiglia parrocchiale che hai amato e servito e aiuta anche noi a realizzare i Progetti di Dio.

  Ciao Gaetano, ti vogliamo bene!

Grazie per tutto

don Pasquale, Beppe, Giacomo 

e l’intera comunità parrocchiale di S. Girolamo

Festa di San Girolamo 2020

La festa di San Girolamo del 2020, a 1600 anni dalla morte del nostro Santo il 30 settembre 420, si è dovuta necessariamente riorganizzare in modo differente a causa della situazione pandemica in corso. Così, non si è potuta tenere la processione e la messa è stata celebrata nel campetto sportivo adiacente alla Parrocchia con il trasferimento della statua del Santo dal campo alla Chiesa rallegrato da una piccola ma festosa banda riunitasi per l’occasione.