Il gelo dell’indifferenza e la mansuetudine della fede nella vita di S. Girolamo

Omelia di Domenica 28 settembre 2025 (XXVI dom. T.O/C)

Un ricco e un povero sono i protagonisti del Vangelo di questa domenica, si incrociano ma non si incontrano, tra loro c’è un abisso.

Il ricco non ha fatto nulla di male al povero Lazzaro, non lo ha aggredito ne a parole, ne fisicamente. Fa qualcosa di peggio: non lo fa esistere, lo riduce a un rifiuto, uno scarto, un nulla. Semplicemente Lazzaro non c’era, invisibile ai suoi pensieri. Tutti i giorni ha attraversato la porta di casa entrando e uscendo ha girato lo sguardo altrove, indifferente; non un gesto, una briciola, una parola.

Non c’è peggiore omicida di chi dice all’altro: “Tu per me non esisti!”,  San Giovanni dice chiaramente: chi non ama è omicida (1 Gv 3,15).

L’altro, e soprattutto il povero, vanno amati e accolti. Il primo nostro dovere è quello di accorgerci degli altri, soprattutto del fratello più sfortunato. Un Santo particolarmente sensibile alle povertà umane affermava: «Se stai pregando e un povero ha bisogno di te, lascia la preghiera e vai da lui. Il Dio che trovi è più sicuro del Dio che lasci (san Vincenzo de Paoli)».

I Santi ci insegnano ad aprire il cuore, la mente a Dio e le mani al prossimo!

Qualcuno ritiene che il Paradiso o l’Inferno cominciano già qui in terra!

Esattamente una settimana fa abbiamo accolto l’immagine di San Nicola, l’amico dei poveri e degli ultimi in genere. Dovremmo chiederci: quale insegnamento ci ha consegnato da vivere?

Non dimentichiamo che ci stiamo apprestando a celebrare la memoria liturgica e la festa del nostro Santo Patrono San Girolamo, anche in questa circostanza dovremmo essere attenti a lasciarci illuminare e istruire da lui, per poi imitarlo nelle sue virtù.

Girolamo, un santo dal carattere difficile, irruento, e spesso anche polemico, scontroso di natura con un carattere per niente facile, ha dato, comunque, tanto alla cristianità con la sua testimonianza di vita e i suoi scritti. A lui si deve la prima traduzione ufficiale in latino della Bibbia, la cosiddetta Vulgata

La sua vita era stata una lunga serie di fughe e spostamenti. E magari si domandava con tristezza se le sue fossero fughe dalla realtà… 

GIROLAMO: CONSIGLIERE DEL PAPA

Nel 382 Papa Damaso (305-384) indice un incontro per dibattere sullo scisma meleziano di Antiochia. Girolamo vi è invitato, perciò torna a Roma. Lo accompagna la sua fama di asceta e di erudito, ragione per la quale il Pontefice lo sceglie come proprio segretario e consigliere e lo invita a intraprendere una nuova traduzione in latino dei testi biblici. Nella capitale Girolamo dà vita anche a un circolo biblico e avvia allo studio della Scrittura delle nobili romane. Le nobildonne, volendo intraprendere la via della perfezione cristiana e desiderose di approfondire la conoscenza della Parola di Dio, lo designano come loro maestro e guida spirituale.

Il suo rigore morale, tuttavia, non è condiviso dal clero e le severe regole da lui suggerite alle sue discepole sono ritenute troppo dure. Condanna vizi e ipocrisie e polemizza spesso anche con dotti e sapienti. Finisce per essere malvisto da molti, sicché, morto Damaso, decide di tornare in Oriente e nell’agosto del 385 si imbarca a Ostia per raggiungere la Terra Santa.

A Betlemme Girolamo può anche dedicarsi all’ascesi e all’assistenza dei bisognosi, alternando, come egli stesso scrive in più occasioni, la cura dei poveri e dei pellegrini con le ore di studio che riesce a strappare al sonno. 

IMMERSO TOTALMENTE NELLO STUDIO E NELLA MEDITAZIONE DELLE SACRE PAGINE DELLA SCRITTURA

Girolamo trascorre a Betlemme tutto il resto della sua vita, dedicandosi sempre alla Parola di Dio, alla difesa della fede, all’insegnamento della cultura classica e cristiana e all’accoglienza dei pellegrini. Muore nella sua cella, nei pressi della grotta della Natività, il 30 settembre probabilmente del 420.

Detestato ma anche amato.

Qualcuno ha detto che ai nostri giorni Girolamo avrebbe avuto difficoltà ad essere canonizzato dalla Chiesa a motivo del suo carattere poco, o per niente, empatico. Focoso ed impulsivo, la sua cocciutaggine era di quelle da far perdere la pazienza ai santi. Agostino di Tagaste ne seppe qualcosa.

Quando qualcuno, però, desiderava convertirsi o si rivolgeva a lui per consigli, sapeva anche essere incredibilmente delicato; ma se si cercava di trarlo in inganno su determinati argomenti della verità cristiana, subito diventava diffidente e scontroso, e allora non lo si poteva prendere né per le corna né per la coda. Eppure, nonostante questo suo carattere impetuoso e ostinato, è una delle figure più belle e luminose, oltre che tra le più amate, della storia della spiritualità occidentale. 

Ha lasciato alla cristianità un ricco patrimonio attraverso i suoi scritti: epistole, Lettere, commentari, omelie, trattati, opere storiografiche e agiografiche. È assai noto il suo De Viris Illustribus (con le biografie di 135 autori perlopiù cristiani, ma anche ebrei e pagani), che dimostra quanto la cultura cristiana fosse “una vera cultura ormai degna di essere messa a confronto con quella classica”. Da non dimenticare il suo Chronicon – la traduzione e rielaborazione in latino di quello in greco di Eusebio di Cesarea andato perduto – con la narrazione della storia universale, tra dati certi e miti, a partire dalla nascita di Abramo fino all’anno 325. Infine, ci sono molte epistole che lasciano trasparire la sua spiritualità e che sono ricche di consigli e profondi insegnamenti.

Girolamo (insieme ad Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno) è uno dei quattro Padri della Chiesa d’Occidente proclamato dottore della Chiesa nel 1298 da Bonifacio VIII.

LA SCELTA DELLA SOLITUDINE NON LO ISOLÒ DAL MONDO

Benché fosse difficile dialogare con lui, tuttavia non si può dire di lui che è stato un narcisista e indifferente ai problemi e situazioni del suo tempo.

Non amava le mediocrità e le “mezze misure” e neppure accomodamenti di situazioni, e neppure le troppe parole che spesso si rivelavano prive di azioni e incoerenti sul piano comportamentale.

Non si può dunque dire di Lui che era un asettico e privo di sentimenti di emozioni e sentimenti. Forse selettivo sì! Volentieri si circondava di donne e uomini che desideravano intraprendere un serio discernimento e cammino spirituale di ascesi.

Tra i seguaci più noti abbiamo: Neponziano, Epifanio di Salamina e Paolino di Antiochia, e anche numerose donne come:Marcella, Paola, Eustochio, Fabiola, Lea, Asela e tante altre che conosciamo attraverso la sua corrispondenza e a cui sono dedicate molte sue opere.

L’INDIFFERENZA NELLA CULTURA CONTEMPORANEA

L’indifferenza è un sentimento o stato affettivo neutro, molto diffuso oggi, che spesso si associa a un’assenza di emozioni e vissuti e a una freddezza emotiva nella quale prevale un vuoto, una mancanza di interesse verso il mondo esterno.

Si osserva ma non si interviene né con le parole, né con le azioni.

L’indifferente continua sulla propria strada, non si smuove davanti alle richieste altrui, è distaccato e osserva ogni cosa senza coinvolgimento e attenzione.

Come direbbe uno scrittore, il rumeno di origine ebraica:

Sono molte le atrocità nel mondo e moltissimi i pericoli. Il male peggiore è l’indifferenza. Il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza; […] il contrario dell’intelligenza non è la stupidità, ma l’indifferenza. È contro di essa che bisogna combattere con tutte le proprie forze. E per farlo un’arma esiste: l’educazione.

Bisogna imparare a conoscere ed allenare l’empatia per evitare “l’atrofia emotiva”.

Coraggio, responsabilità e sensibilità morale, sono doti da esercitare e mettere in pratica tutti i giorni, in ogni ambito della nostra vita, lavorativo e non solo.

L’indifferenza è un sentimento antisociale che fa percepire tutto ciò che è diverso da sé come minaccioso e pericoloso per la propria sicurezza, ti fa sentire invisibile agli occhi degli altri, le tue parole cadono nel vuoto o peggio ritornano come un’eco.

L’indifferenza, poi, genera:

  • L’ignavia che si manifesta attraverso comportamenti come la pigrizia, l’indolenza mentale e spirituale, la viltà. Gli ignavi non vogliono fastidi, non prendono una posizione netta a causa della propria cattiva coscienza che li porta a non volersi esporre facendo sentire la propria voce.

            Per gli ignavi è preferibile assumere una posizione di comodo, ampiamente        condivisa, senza porsi troppe domande e quando serve volgere lo sguardo altrove.

  • L’accidia che si manifesta attraverso comportamenti inerti, disinteressati, indifferenti verso ogni forma di azione ed iniziativa che generano stati d’animo come: noia, monotonia, senso di immobilità, vuoto interiore.
  • La viltà che pietrifica lo spirito. Per viltà si smette di agire, tendendo a rinchiudersi in sé. La viltà deforma la percezione della realtà, trasformando il mondo in un luogo inospitale dove aggirarsi con sospetto e diffidenza.

L’indifferenza fa dire all’altro (esplicitamente o silenziosamente): Ma che vuoi? Tu per me non esisti!

Quando decidi di chiudere il tuo cuore all’esistenza di fatto non permetti alla sofferenza di entrare nella tua vita ma nello stesso tempo, chiudi la porta anche alla gioia, allo scambio, alla possibilità di andare oltre te stesso, verso la felicità. Tale atteggiamento porta l’individuo a  sottomettersi all’opinione comune, al potere del più forte, finendo con  l’annullarsi, svilirsi come essere umano.

Sottomettersi significa perdere la propria energia vitale per donarla a qualcun altro. Ti fa sentire umiliato, impotente, di fronte a chi esercita il proprio potere su di te.

Stati d’animo come empatia, attenzione all’altro, prosocialità sono a fondamento dell’umanità. Decidere di ignorare queste pulsioni dell’anima rende anaffettivi, distaccati, incapaci di riconoscersi nell’altro.

L’anaffettività può sfociare in comportamenti patologici e/o criminali.

Per un soggetto anaffettivo l’incapacità di mostrare reazioni affettive può avere diverse origini:

  • Privazione affettiva nella prima infanzia
  • Abbandono
  • Maltrattamento
  • Abuso

La psicologia dello sviluppo insegna che chi nell’età infantile non ha conosciuto il linguaggio dell’amore espresso in cure, attenzioni, gesti, parole, sguardi e abbracci, crescendo non sa manifestare certe attenzioni quando si relaziona con gli altri.

Per queste persone l’empatia è un sentimento difficile da sentire e riconoscere poiché gli è impossibile mettersi nei panni altrui condividendone le esperienze emotive.

Urge uscire dal gelo dell’indifferenza

Uscire dal gelo dell’indifferenza sociale è possibile solo comprendendo il valore della condivisione, quel sentirsi parte attiva e pulsante del corpo sociale.

“Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto” (Thomas Merton).

Per uscire dal sonno dello spirito insito nell’indifferenza sono fondamentali 2 azioni prosociali:

  1. Prendere consapevolezza di sé e di conseguenza delle altre persone
  2. Assumersi le proprie responsabilità

San Paolo direbbe: “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1 Corinzi 12,26).

Diventare responsabile di sé e degli altri è il cammino da percorrere, con una certa urgenza, quando ci si accorge di essere evasori dalla quotidianità, dai pantani della vita, quando si profilano catene di doveri da espletare e le pareti del nostro “io” ci imprigionano.

Reimparare a vivere “per” e “con” gli altri è l’unica strada per rendere il mondo in cui viviamo un luogo migliore e per sentirti a casa ovunque ci si trovi e sperimentare, così, una Pace interiore da trasmettere anche a chi ci sta accanto.

Sac. Pasquale  Zecchini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *